lunedì 18 aprile 2016

Io, morto per dovere


 La vera storia di Roberto Mancini, il poliziotto che ha scoperto la terra dei fuochi

Luca Ferrari - Nello Trocchia con Monika Dobrowolska Mancini


 Ed. Piemme




"Voglio pensare che forse i tempi non erano maturi"

 (R. Mancini)


Il libro viene reso disponibile all'indomani della messa in onda della fiction RAI "io non mi arrendo" con Giuseppe Fiorello, nel quale l'attore con un suo bel lavoro, veste i panni del poliziotto che, per primo, indagò sulle vicende ormai note come quelle relative alla "terra dei fuochi". Svolgendo il suo lavoro l'ispettore approda ai traffici delle ecomafie a metà degli anni '90, anni nei quali viene istituito il commissariato emergenza rifiuti in Campania, e già dal fatto che venne poi rinominato dell'emergenza idrogeologica in Campania nel 2000, sembra potersi vedere istituzionalizzata la consapevolezza che qualcuno scavasse le cave fino alla falda acquifera e riempisse il tutto di rifiuti.

Eppure siamo qui a parlarne come di un passato pur recente ma già divenuto fiction, ora che la terra dei fuochi è un presente che chiede ancora risposte e soluzioni giacché quello scempio che si è fatto del territorio produce ancora morti. Morti da bambini o compromessi da malattie attualmente incurabili gli individui che vivono quel territorio e che vi sembrano legati indissolubilmente, che segnano la sorte di un territorio dal quale bisognerebbe a tutti i costi allontanarsi. <<Per andare dove? Questa è la nostra casa, la nostra terra>> risponde nella fiction la madre della giovane vittima Vincenzino. Vincenzino, nella fiction, anticipa la sorte che toccherà a Roberto Mancini scomparso il 30 aprile 2014 dopo aver combattuto contro un linfoma non Hodgkin, un tumore contratto a causa dei suoi sopralluoghi sulla terra dei fuochi.

Il libro si annuncia come la pubblicazione della copiosa informativa Mancini degli anni '90, ma si spende nella celebrazione biografica dell'uomo, per un terzo nelle vicende di un giovane liceale di sinistra negli anni della contestazione, accodando come "informativa" la sola rilettura di alcune intercettazioni prodotta nel 2013 al sostituto procuratore Milita presso la Procura della Repubblica di Napoli.

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La vicenda giudiziaria relativa a quel fenomeno criminale ed all'informativa di Mancini degli anni '90 desta stupore, uno stupore già vissuto per una storia recente del nostro paese portata sullo schermo dalla RAI e da Beppe Fiorello, quella relativa al caso Barillà. Se lì la vicenda giudiziaria ebbe risvolti inverosimili per la verità che emergeva dagli atti processuali, qui non ci si imbatte in una vicenda giudiziaria vera e propria, si scopre quasi con stupore che processi pur ce ne sono stati ma mai individuando la vicenda nella sua unitarietà come suggerisce oggi la concentrazione territoriale e la definizione del fenomeno. Vicende giudiziarie concluse senza clamore, altre ancora in corso, dalle quali si desume che a quel lavoro di Roberto Mancini qualche riscontro già si era offerto pur essendo rimasto inspiegabilmente ignorato nei cassetti degli uffici giudiziari per sedici lunghissimi anni.

<<Un punto emerge subito con forza (ivi pag.48): non sarebbe esistita una sconcia e immonda storia criminale e cammorristica senza l'appoggio della borghesia affaristica, [...] mancano i nomi dei principali responsabili, dei complici, dei politici, degli infedeli servitori dello Stato, dei professionisti e degli imprenditori>>.

Sembra quindi che il fatto che oggi sconvolge di questo fenomeno criminale troppo a lungo ignorato è che esso sia stato considerato al pari di un qualsiasi affare losco per il concorso di apparati dello Stato o per il voluto disinteressamento di questi e di un intero sistema impegnato a svolgere affari legali, prima che diventasse un fenomeno "sociale" che si è finalmente imposto alla pubblica opinione solo ai nostri giorni ed attende una risposta adeguata.

L'informativa presentata dalla squadra che dirigeva Roberto Mancini negli anni '90 fu considerata non meritevole di un procedimento giudiziario. <<Voglio pensare che forse i tempi non erano maturi>> commenterà Mancini (Ivi pag.51), e noi cosa dobbiamo pensare: che non era ancora entrato nella coscienza collettiva il Decreto Ronchi del '92 che classificava ogni manufatto non naturale come rifiuto nella sua specifica tipologia, mentre ancora si pensava ai "rifiuti" come quelli che in quel decreto erano i soli "residui di mensa", spazzatura, monnezza e non ai "rifiuti" pericolosi classificati in tossici e nocivi che erano scarti dei procedimenti di lavorazione industriale o fanghi tossici che finivano ad essere concime in un territorio dello Stato? Oppure oltre alla borghesia affaristica di cui dicevamo c'era anche una ben precisa regia occulta, che prevedeva il disinteresse dello Stato, il coinvolgimento della Massoneria di Licio Gelli cui fa riferimento anche il pentito Carmine Schiavone, citato nel testo? <<La portata delle indagini e degli accertamenti tecnici da fare avrebbe comportato sia un impegno notevole di denaro, sia il rischio che si creasse una sorta di panico nella popolazione>>, affermava ancora Mancini (Ivi pag.51): nulla a confronto delle bonifiche che si renderebbero oggi necessarie, nulla a confronto del panico nel quale vive quella popolazione abbandonata all'avvelenamento. Eppure oggi, a distanza di tanto tempo, quel lavoro trova il suo riscontro nella realtà ed assume i connotati di un primo passo possibile che nessuno ha voluto compiere.

Il libro celebra Roberto Mancini e gli autori lo raccontano sin dall'attivismo dei tempi del liceo. C'è dovizia di particolari, sembrano esserci tutti i nomi e c'è una cronaca chiara e scorrevole degli avvenimenti. Ne emerge il carattere, il tratto umano di chi ha soltanto fatto il suo dovere, senza fare carriera. Le sue stesse tristi considerazioni sul fare carriera (Ivi pag.30) possono applicarsi però a qualunque carriera in un organismo: accettare compromessi, ricercare consenso, semmai conquistarsi i superiori con fare servile, non crediamo valga solo in polizia. Allo stesso modo emerge l'uomo nella parte finale del testo e nel racconto amorevole della moglie Monica. La vicenda relativa alla sua indagine più importante resta il cuore, il fulcro del libro, ma sembra la cronaca quasi scontata di ciò che avveniva nel trattare loschi affari dei quali non era stata compresa la portata; dalla sua informativa del 2013, in fondo al testo, si desume che tutto quanto a suo tempo intuiva accadere sotto il suo orecchio di intercettatore rimase privo di una conseguente azione: si ascoltava, si intuiva, si desumeva e ricostruiva, e nessuno ritenne opportuno "andare a vedere", intervenire!

Il processo a Cipriano Chianese, avvocato di Santa Maria Capua Vetere, imprenditore, deus ex machina dell'affaire rifiuti, informatore dello Stato sui crimini in materia ambientale e mancato consulente governativo per la risoluzione dei problemi relativi allo smaltimento dei rifiuti è tuttora in corso. Ne sono capi di accussa: associazione a delinquere, avvelenamento delle acque e disastro ambientale.

Onore a Roberto Mancini, un onore meritato anche secondo le alte cariche dello Stato, ma un riconoscimento postumo, purtroppo, perfino vano, finché non si offriranno risposte alla terra dei fuochi.



Giulio della Valle

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