lunedì 19 dicembre 2016

 Indagine su Gesù

Antonio Socci

Ed. Rizzoli BUR


"Dio sa scrivere diritto sulle nostre righe molto storte"



Certo, non ci aspettavamo rivelazioni clamorose e recenti, giacché la storia è già scritta e da molto tempo, ma ci saremmo attesi un'analisi critica e analitica un po' più disincantata di quella dettata dall'amore assoluto per la dottrina cattolica. Tocca la sensibilità dell'autore, dichiaratamente cattolico cristiano, e quindi forse questo ci dovevamo aspettare. A volte commuove, nella descrizione dei tratti umani di Gesù, dal quale si resta affascinati (e come non potrebbe esserlo?) attraverso l'autore, ma l'indagine manca di spunti critici su alcuni aspetti: le prove dell'esistenza in vita di Gesù' aldilà dei Vangeli canonizzati, pur riferendo Socci dei passi dedicati a Gesù nel Corano ed il rispetto che nutre per Gesù il Dalai Lama, rappresentante della comunità buddista mondiale; l'analisi dei problemi che la dottrina rivoluzionaria di Gesù indusse non solo nel potere costituito, ma nei "giusti" che pur rispettavano il diritto, la legge scritta, i costumi e gli usi del tempo, che, questo è indiscutibile, non sono stati più gli stessi dopo l'avvento del Cristianesimo.
L'indagine di Socci scorre gli episodi più noti della vita di Gesù che può presentarsi come un ottimo Bignami per chi si avvicina alla Sua persona, ma che può risultare scontato e ripetitivo agli occhi di chi è avvezzo agli studi evangelici. Fin qui, dunque, nulla di nuovo, nessun nuovo spunto interpretativo, nessuna modernizzazione della Sua figura, per quanto non sia già attuale e moderno il contenuto della Sua predicazione; tuttora attuale e moderno perché dettata all'uomo da chi ne conosce profondamente l'animo.
Il prologo all'indagine svolta da Socci compie un excursus dei pensatori più antichi e più moderni su Gesù, scegliendo volutamente, nel pensiero dei laici, quei contenuti che riconoscono intrinsecamente la portata unica della dottrina di Gesù che in meno di tre anni di predicazione, ha cambiato la storia del mondo.
Il lavoro prende le mosse dalla conversione del filofoso e scienziato Antony Flew nella sua visione delle origini del mondo che non può essere frutto del caos, ma soltanto di una mente creatrice (V. la composizione dell'atomo, l'orbita della terra che permette la sussistenza della vita, la stratosfera che la protegge e che, con il nucleo magmatico delle sue plumbee viscere garantisce un ambiente protetto in un campo magnetico perfettamente bilanciato) che ha voluto l'habitat che conosciamo come "natura", in cui è stato creato l'uomo ad immagine e somiglianza di Dio, ma si sofferma poco sulle prove della natura umana ed al contempo divina di Gesù oltre le sue stesse parole.
Il Cristianesimo
Fin qui, più che parlare di Gesù, si parla del Cristianesimo, della rivoluzione culturale che esso ha apportato nell'Occidente e sul merito che esso ha conseguito nel garantire all'Europa un primato mondiale rispetto alle culture del resto del mondo dopo le invasioni barbariche ed il primato dell'agricoltura grazie alla vita operosa dei monaci. Dovrebbe ricordare però Socci, che l'influenza del Cristianesimo come dottrina culturale divenuta egemone in occidente e fondatrice dei diritti fondamentali dell'uomo, dell'uguaglianza tra uomo e donna, dell'uguaglianza tra esseri umani perché fratelli e affrancatrice dalla schiavitù, non è conseguita immediatamente alla comparsa del Nazareno, finito condannato come un impostore, ancorché come nemico dell'imperatore, ma è approdata a Roma ed ha mutato i principi fondanti l'Impero romano, a partire da Giustiniano, primo imperatore cristiano, tempo dopo che Gesù è vissuto su questa terra. Giunse a Roma nelle mani di Paolo secoli dopo e stravolse Roma.
Questo ha consentito ad alcuni di riferire che l'esistenza di Gesù sarebbe stato un mito d'Oriente che poi ha messo radici nell'Occidente, nella cultura di Roma. Non è quindi il caso di parlare della portata egemone del cristianesimo nella cultura occidentale, che pur si sarebbe potuta evolvere in questo senso senza la venuta di Gesù sulla terra, ma di indagare, a favore di chi non crede, sull'esistenza dell'anello di congiunzione tra il fatto che Gesù sia esistito ed il germogliare a Roma della sua dottrina, quivi portata da S. Paolo e suffragata da cronache (I Vangeli) (Socci liquida in una battuta quelli non canonici o sinottici) sostanzialmente postume e scritte un secolo dopo la presunta esistenza in vita del tale Gesù il Nazareno che si proclamava figlio di Dio.
Anche il merito riconosciuto al Cristianesimo di aver permesso allo Stato, per contrapposizione,  di essere "laico", svuotando la carica dell'Imperatore, o meglio del suo predecessore "Pontefice maximus" del suo contenuto divino, come fosse Dio in terra, appare un po' frettoloso. Non tiene nella dovuta considerazione gli Studi di Storia del diritto romano, basati proprio soprattutto sulle cronache dei Vangeli oltre alle altre fonti disponibili, secondo i quali già a quei tempi sussistevano due distinti poteri: quello di un Imperatore che aveva il potere di vita e di morte sui suoi sudditi e quello dei sacerdoti che pur curando una cosiddetta "Religione di Stato" non avevano tale potere di vita e di morte ed infatti sollecitarono l'intervento del potere di Roma per "motivi di ordine pubblico", denunciando Gesù come un sobillatore delle masse, nemico di Cesare, per vederlo condannare a morte (V. "il processo contro Gesù" di Amarelli F. (Curatore), Lucrezi F. (Ed. Iovene)). La famosa frase sul versamento delle tasse: <<Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio>> (Mt. 22,21) che pur sarebbe dovuta essere sufficiente a scagionarlo, se Roma avesse potuto concepire l'esistenza di un altro ordinamento giuridico oltre il proprio, non varrà a salvarlo dalla condanna. Secondo Socci lo stesso brano (Lc. 20,24-25) è il modo in cui Gesù laicizza le autorità di questo mondo (Ivi p. 235). Vedremo poi che per Socci il modo di leggere il Vangelo non può essere quello che si propone il giurista.
L'efficacia normativa rivoluzionaria della predicazione di Gesù
Occorre quindi mettere in evidenza la portata rivoluzionaria della predicazione di Gesù in relazione al rispetto della "legge", essendosi posta come nuova fonte del diritto, e di un diritto dotato di contenuti assolutamente nuovi e quindi confliggenti con la cultura dei suoi contemporanei. Si liquida troppo spesso, e lo fa anche Socci, chi rispetta la legge del tempo (il fariseo) come una persona falsa e dedita alla pura apparenza come se invece nel cuore nutrisse malvagità (quanto meno oggi pensiamo a chi si batte il petto in Chiesa e compie azioni malvagie); ai testimoni dell'adulterio della donna che Gesù sottrae alla lapidazione come ad assassini. In realtà, bisogna mettere bene in evidenza che questi rispondevano alla legge ebraica e che prima del Cristianesimo non vi era una fonte di diritto diversa e alternativa dotata dell'umanità che Gesù assurge a regola divina. Gesù era ebreo, viveva in una comunità nella quale vigevano oltre 600 precetti tra i quali, i più noti, contro i quali predica e agisce Gesù: il rispetto del riposo il sabato (derivato dal vecchio testamento che narra nella Genesi che il settimo giorno Dio si riposò e si compiacque della Sua opera), la norma che prescriveva che i testimoni dell'adulterio (crimine riconosciuto possibile solo per la donna) fossero i primi a lanciare la pietra contro l'adultera, perché essi che avevano visto dessero il via alla pubblica condanna, in luogo pubblico, a monito per tutte le donne che potessero pensare di rendersi adultere. Entrambi dettati dalla legge di Mosé, ovvero della legge ai tempi di Mosé, i primi cinque libri della Bibbia.
La lapidazione era quindi il modo di quella cultura di condannare l'adulterio per tutelare il peso del vincolo matrimoniale e la potestà dell'uomo sulla donna: la condanna a morte, nella quale perì per intervento dell'Impero Romano, lo stesso Gesù! La legge aveva imposto il ripudio ai farisei, come si legge nei Vangeli (Mt. 10, 2) e Gesù disvela loro che quella norma è prevista per la durezza del loro cuore e che Dio [sin dal principio] li fece maschio e femmina (Mt. 10, 5-6). Gli stessi apostoli, evidentemente senza l'intento ingannevole dei farisei, interrogano Gesù sul ripudio (Mt. 10, 10). (Su tutto (Mt 10, 2-12). Si ricorderà che la stessa Maria, promessa sposa di Giuseppe, teme che la Sua gravidanza non conseguita ad un loro amplesso possa provocare il ripudio, secondo la legge dell'epoca, potendola solo intendere, se non come adulterio, come evidente conseguenza di un tradimento del promesso sposo. Giuseppe quindi è impedito dalla legge del tempo, che regola la vita dei saggi e degli empi, ad accettare di sposare una donna che lo ha tradito, finché la visione dell'Angelo non gli rivela la volontà divina (un Ordine nelle cose fino ad allora sconosciuto all'uomo). La norma sul ripudio, trova la sua fine in queste parole di Gesù che sono fonte di nuovo diritto e collidono con la tradizione allora conosciuta ("...Giacché Dio ha sposato l'umanità per sua natura adultera" -  Omelia della messa delle 18,30 del 2 Ottobre 2015 - Parrocchia di Santa Maria della Mercede - Napoli).
Finché non comprendiamo che non esisteva una legge del cuore che desse alla donna pari dignità di quella riconosciuta all'uomo (perché oggi sembra assurdo doverlo dire), finché non comprendiamo che il mondo era fatto da uomini sui iuris che governavano la propria familia e uomini in potestate che erano schiavi, come in potestate del padre o del marito erano tutte le donne (e sembra oggi assurdo doverlo dire), non comprendiamo la irreprensibilità e la buona fede di chi rispettava le regole che, anche in Socci, non sembra essere posta nella dovuta evidenza. Non comprendiamo che erano realmente "persone perbene" questi che, increduli, chiedono anche a Gesù al cospetto dell'adultera: <<Che cosa dobbiamo fare>> (Gv. 8, 1-11). Anche in assenza di inganno, sembra come se avessero detto: <<Questo (la lapidazione) prescrive la legge, la legge di Mosé (i primi cinque libri della Bibbia, V. anche Mt. 10, 2-12) che è la legge di Dio>>, forse ne provavano già essi stessi ripugnanza, <<Tu cosa dici che si debba fare?>>. <<Secondo la legge chi ha visto deve dare il via alla lapidazione, tu che dici?>>. "Non "Chi ha visto"", sembra rispondere Gesu', "Chi è senza peccato..." (Gv. 8,7). Quest'affermazione, la più importante dichiarazione giuridica della storia dell'uomo, è fonte di diritto confliggente con il diritto in vigore nella comunità ebraica di Gesù. Le centinaia di precetti esistenti Egli li sostituisce con note massime di principio che sono fonte di diritto del tutto nuova: <<Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te>> (Mt. 7,12, Lc. 6,31) e soprattutto <<Ama il prossimo tuo come te stesso>> (Mt. 22,39; Gv. 13,24).
Nessuna legge scritta prescrive, ancora oggi, un principio del genere, ma, lo sappiamo, il diritto positivo è regola sancita per l'empio, per il malvagio, e tende a reprimerlo con pene emblematiche e significative, mentre il saggio, il giusto, secondo lunga dottrina filosofica (mutuata, come no, proprio al Cristianesimo, dopo il c.d. "diritto naturale" secondo il quale è nella natura delle cose che prevalga il più forte sul più debole) volge per sua natura al bene.
Questo deve significativamente smarcare quelle figure additate come persone false e malvagie dall'idea che essi fossero "criminali". Erano forse "delinquenti" agli occhi di Dio, ma prima dell'avvento di Cristo la legge di Dio non esisteva o quanto meno non era conosciuta, non era rivelata e non in questa forma. Pertanto questi soggetti con i quali Gesù si confronta e che oggi ci appaiono tanto deprecabili, ci appaiono tali per la cultura della quale siamo intrisi ma a quel tempo erano forse realmente quanto di meglio sapesse esprimere la società.
Questo discorso, che sento di fare a difesa delle persone comuni, ovviamente, non giustifica gli oppositori di Gesù nel Sinedrio. Sebbene i Sinedriti avessero in animo di difendere la legge come allora conosciuta, i loro comportamenti erano pur dettati dalla preoccupazione di conservare il ruolo di rilievo che avevano nella società, e costoro per ottenere la condanna a morte del Nazareno ricorsero al potere sanzionatorio riconosciuto all'impero romano, altro e distinto ordine gerarchico da quello dei Sinedriti che non potevano comminare la pena capitale. Questo, però, è un altro lungo discorso relativo al "Processo a Gesù" ed alle accuse rivolte al Messia allorché a chi lo accusava di porsi contro Roma rivelò dettare i precetti di un altro ordine giuridico rispondendo con la celebre frase: <<Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio>> (Mt. 22,21; Mc. 12,17, Lc. 20,25 ).
L'aspetto fisico di Gesù, il suo predicare alla folla, i miracoli
L'indagine vera e propria su Gesù, svolta da Socci, prende le mosse dal suo aspetto fisico dedotto dalla Sacra Sindone: un uomo alto, bello e muscoloso, grazie al suo lavoro manuale di falegname, che affascina anche oltre le sue parole. Un uomo forte, ci riferisce Socci, che affronta la sua missione trovandosi ad affrontare un defaticante pellegrinaggio ed a vivere senza fissa dimora talvolta dormendo anche all'aperto. Un uomo forte, come, per altri versi, nello stesso solco, risulta forte S. Francesco d'Assisi, per quanto a differenza di Gesù non bello e gradevole nell'aspetto e misero nel fisico, che pur dimostra forza nella sua umiltà, quella con cui vince la resistenza di Papa Innocenzo III nell'accettazione della sua regola. Socci sembra voler liberare Gesù dalla rappresentazione del crocefisso che per alcuni può assurgere a icona della debolezza piuttosto che al dono di sé stesso per amore e si sofferma sulla tenerezza che mostra nel contatto con gli uomini, del quale è desideroso, quasi avido. Proprio per conservare il contatto con la folla avrebbe moltiplicato i pani ed i pesci.
Pur non immaginandolo come una rockstar circondata da guardaspalle, indubbiamente tutta questa folla assiepata intorno a lui, qualche problema lo avrà pur dovuto creare, se non a Zaccheo che si arrampicò ad un albero per vederlo passare (Lc. 19, 1-10), alla donna che si fece spazio tra la folla per poterlo toccare (Mt. 20,22). Accoglie tutti, consola, guarisce. In particolare, Socci si sofferma sullo sguardo di Gesù, prendendo le mosse da un episodio narrato dai Vangeli quando Gesù preannuncia a Pietro il suo tradimento (Mt. 26, 30-35), narrato da tutti gli evangelisti (Mt. 26, 69-75; Mc. 14,66-72; Lc. 22,54-62; Gv. 18,12-27), e quando appare agli apostoli dopo la resurrezione senza mostrarsi risentito per il comportamento dell'apostolo (Gv. 21,15-17), che chiamò Satana, allorquando invitò Gesù a sottrarsi al suo destino (Mt. 16,23; Mc. 8,33). Pietro non era affatto consapevole della necessita' che Gesù andasse incontro al supplizio ed infatti, alla sua morte, esclamò poco prima che gli apparisse: <<Io vado a pescare>>, come se tutto fosse finito (Gv. 21,3).
Socci si sofferma soprattutto sullo sguardo, come se fosse il senso attraverso il quale Gesù opera e guarisce. Sulle guarigioni e sulla folla ci viene in mente ciò che sfugge a Socci nell'elencare famosi episodi narrati nel Vangelo. Il caso, è quello, emblematico, di quella donna che guarisce toccando il suo mantello (Mt. 9, 20-22). La donna, ricordiamolo, fa fatica a farsi largo tra la folla e guarisce nell'istante in cui riesce a toccarlo. Sembra potersi dire che Gesù, accortosi di quanto accaduto, si ferma e chiede sorpreso: <<Chi mi ha toccato?>>. Così la donna si mostra a Gesù e si dichiara guarita.
Ebbene, questo caso è emblematico per due fondamentali ragioni: innanzitutto la folla che si assiepa intorno a Gesù non sembra essere composta ed ordinata quanto costituita da individui che fanno di tutto per avvicinarsi a lui, tanto che possa risultare difficile a chi ne è maggiormente impedito nel fisico, e stride con l'idea del Messia bellamente riunito con chiunque voglia e che si possa porre tranquillo, seduto, ad ascoltarlo. In secondo luogo afferisce ad una guarigione non conseguita ad un gesto volontario di Gesù.
Gesù viene toccato dalla donna che riesce a giungere a lui, contro o comunque indipendentemente dalla Sua volontà ed istantaneamente consegue la guarigione dalle sue piaghe.
Questo fa supporre che Gesù sia energia benefica e guaritrice pura, immersa in mezzo alla folla, e, se toccarlo permette di conseguire la guarigione, il fatto che chi lo tocca nascostamente guarisce, deve far pensare che di questa energia di cui Gesù è portatore non possa giovarsi chiunque, ma soltanto chi ha già di per sé un animo puro e vicino a Dio. Pertanto, Gesù si porrebbe come tramite di energia benefica di Dio immerso tra gli uomini, disponibile a chi tra questi sia in grado di trarne beneficio. Da questo episodio si trae una chiave di lettura del tutto particolare alla frase che Gesù ripete in queste ed in altre occasioni: <<La tua fede ti ha salvato>>. Sembra che senza l'aver fede nulla sia possibile. Non è stato lui, ma è l'effetto della fede riposta in lui; non ha compiuto un atto volontaristico, non ha trafitto con il suo sguardo. Si è posto al contatto con gli uomini ed ha percepito chi, a sua insaputa, gli ha sottratto energia benefica conseguendo la guarigione.
L'inconsapevolezza di Gesù deve far pensare che egli si ponga come tramite con il Padre, porta di accesso alla guarigione per chi ha già fede in Dio. A questo punto potremmo ritenere che ogni guarigione è opera di Dio per il tramite di Gesù sui corpi ammalati degli uomini già pieni di fede e che la fede sia un presupposto indispensabile, senza il quale il miracolo non potrebbe compiersi. In tal senso: quando Gesù copre di fango misto a saliva (Gv. 9, 6-7) gli occhi del cieco, quando guarisce uno storpio, sta soltanto compiendo un rito? Si sta rendendo disponibile a consentire che ciò che è avvenuto a quella donna a sua insaputa possa compiersi nuovamente? Guarisce il corpo martoriato di una persona il cui animo, nella fede, è già vicino a Dio? Ogni volta che Gesù afferma: <<La tua fede ti ha salvato>>, viene in mente quella donna guarita grazie alla sua fede, alla sua certezza che, toccandolo, avrebbe conseguito la guarigione, e senza che Gesù le rivolgesse lo sguardo. Questi aspetti forse sarebbe il caso di affrontare e ci saremmo aspettati svolti in una vera e propria "indagine" sul Messia, finanche accettando la provocazione che, ove non vi fosse fede nella persona, Gesù non potesse operare miracoli, anche se questo contraddirrebbe altri ben noti episodi narrati nei Vangeli.
Gesù si pone al di sopra dell'atorà, è egli stesso l'atorà, la legge, è questo crea problemi alla comunità ebrea in cui i sinedriti promuovono le accuse (v. processo contro Gesù). Gesù si annuncia come il Messia e con il Cristianesimo realizza circa 350 profezie delle Sacre scritture, prima fra tutte quelle sulla progenie di Adamo, numerosa come un cielo pieno di stelle. Tutte profezie messianiche secondo gli stessi rabbini e con una possibilità statistica che esse si realizzassero in un solo uomo quanto sarebbe possibile trovare un elettrone indicato in miriadi di universi pari al nostro. Socci si sofferma a lungo sulla profezia di Daniele e le sue diverse interpretazioni nazionalistiche sia degli ebrei, sia dei romani.
La genealogia di Gesù
Se ben intendiamo Gesù sarebbe nato tra il 6 ed il 4 a.C. (atteso tra il 10 a.C. ed il 2 d.C.) ed i magi, esperti astrologi, avrebbero seguito la congiunzione di Giove e Saturno nella costellazione dei pesci - avvenuta tre volte quell'anno - o la stella Venere particolarmente luminosa. Giove rappresenta i dominatori del mondo, Saturno il protettore di Israele e la costellazione dei Pesci la fine dei tempi.
Quindi Socci affronta la genealogia  di Gesù e della verginità di Maria, come un fatto indiscutibile anche dopo il parto e finanche scomodo per i cristiani <<un vero scandalo per i Giudei, una stoltezza per i pagani>> (Ivi pag. 221) evinto dunque dalla realtà ancorché non necessario per confermare la profezia di Is 7,14.
Socci afferma che l'autenticità dei Vangeli è confermata dal fatto che in essi gli stessi apostoli sono rappresentati come <<sciocchi, meschini, duri di cervice o traditori>>. Desta perplessità, considerando che, per quanti essi fossero i fondatori di <<un gruppo dirigente di un nuovo movimento>> (Ivi pag. 221), i Vangeli non hanno lo scopo di esaltare gli apostoli nei confronti dei loro successori, bensì di rappresentare quanto si fosse poveri, negli umani limiti, al cospetto del Cristo. Come negare infatti che proprio tali caratteristiche degli apostoli risultano di conforto per perseverare nonostante tutti i propri comportamenti sciocchi, meschini, o di tradimento? Ciò sembra perfettamente corrispondere all'esigenza di affermare la divinità di Cristo come inarrivabile, anche per chi vi era stato a contatto, a volte incomprensibile, potendo sempre contare sul perdono, e anche se vi risulta coerente non sembra di per sé fondamento della loro autenticità.
Interessanti le considerazione sul perché Gesù era chiamato Nazareno e non nazireo (Ivi pag. 230-232) dal nome del suo clan e dal relativo toponimo (Ivi pag. 236), invocato re all'accesso a Gerusalemme (Ivi pag. 233), crocefisso recita il salmo 22 (Ivi pag. 237). E gli studi che confermano le predizioni del libro di Isaia che confermano che Gesù è il messia anche secondo i rabbini che in seguito ai loro studi si sono convertiti al cristianesimo come Israel Eugenio Zolli (rabbino capo della comunità di Roma dal 1939 al 1945) lo  stesso Paolo dapprima repressore dei cristiani, diviene poi il divulgatore della religione cristiana.  (Ivi pag. 260).
La Resurrezione
Interessante la spiegazione della Resurrezione e lo studio della Sacra Sindone  come <<Messaggio rivolto all'uomo del nostro tempo [...] che può decifrare questi dati [...] ma che [...] non può produrli>> e pertanto dell'importanza che essa assume nel rafforzare la fede, come peraltro i miracoli, le apparizioni, le stigmatizzazioni.
Non può passare sotto silenzio l'osservazione di S. Agostino che riferisce Socci che gli Apostoli videro il corpo e credettero nella Chiesa futura mentre noi che abbiamo visto la Chiesa crediamo nel corpo. (Ivi. Pag. 315 Nota 489)
Credo condivisibile che questo riassuma al meglio il concetto prioritario di fede come avulso dalla storia del Cristianesimo. È dunque nel cercare le prove della resurrezione di Gesù non possiamo affidarci a segni ed a eventi miracolistici, i presagi hanno addirittura il sapore della magia, della cartomanzia. È dunque anche affermare che Gesù risorto risiede in uno dei movimenti che costituiscono il corpo della Chiesa può essere forviante.
Io mi sto sempre più convincendo che la Chiesa è il dettame della propria coscienza, il movimento è il modo di sperimentarsi nella fratellanza e difficilmente ogni caratteristica di un movimento si attaglia perfettamente al proprio essere, per quanto mutevole. Quindi, a rischio di scomunica, se fossi importante e fossi letto, ritengo che l'importanza sia nel riporre ciò che intendiamo Dio in una esperienza condivisa gli altri. Gli altri sono indispensabili per comprendere ogni parte di sé.
Dunque nella Messa poniamo Dio, come nell'adorazione, come alla mensa familiare dove apriamo una preghiera che rimane aperta e sperimentiamo il confrontarci alla luce di Dio, che significa anche discutere, perché discutere aiuta a capirsi dove capirsi non vuol dire essere della stessa opinione ma confrontarsi ed esprimersi soprattutto ed anche nel conflitto riconoscere se stessi e l'altro nella propria identità. Cosa chiedere di più a Dio se non di esprimerci per quello che siamo, riconoscerci e riconoscere il prossimo, e ripianare ogni conflitto perché abbiamo messo a nudo le nostre proprie anime!? Lo insegnamo ai bambini che iniziano a competere nello sport e lo dimentichiamo da adulti!
Ecco allora che il merito del movimento è quello di garantire che puoi esprimerti per quello che sei, se "nel mondo" devi vestire ogni momento i più disparati abiti, e che ci sono sempre cinque minuti per essere ascoltato ed il rispetto della tua persona ed integrità che impedisce che qualcuno possa venire ad insegnarti cosa devi essere. Ditemi se già tutto questo non può essere quanto più intimamente agognamo invocando Dio; ditemi se non è proporre il meglio di sé ciò che facciamo nella componente religiosa della nostra vita. Pertanto, infine, che sia famiglia o movimento, mensa o comunità, mettiamo Dio dove possiamo formarci ed esprimerci, piuttosto che rincorrere prove nei "segni" o nel miracolismo di quanto avviene.
Di contro, indubbiamente sconvolge il caso Marthe Robin che per 50 anni si è nutrita solo di eucaristia, le manifestazioni fisiche delle stimate, le materializzazioni come il miracolo di Lanciano, le apparizioni come quelle a Madre Teresa di Calcutta, recentemente canonizzata. Le lasciamo al "mistero", prima che qualcuno possa affermare che si tratta di un evidente caso di becera "propaganda religiosa", o che se Dio esistesse i bambini non morirebbero di tumore e via discorrendo. Il mistero ha il potere immenso di spingere l'uomo oltre i propri limiti ed è per questo irrinunciabile per il bene dell'umanità.
Credo che se un indagine può condurre a questa conclusione è sempre un'indagine che vale la pena compiere!

Giulio della Valle

sabato 23 aprile 2016

Nonna, ti spiego la crisi economica


 Paolo Barnard


 Ed. e-saggi




Per capire cosa sta succedendo, dobbiamo capire un paio di cose prima. Abbi pazienza. Allora: prendi una nazione e pensa a come è fatta. C'è un territorio con delle frontiere, e dentro ci sono solo due cose: il governo e tutta la sua roba, cioè le sue proprietà, aziende, uffici, scuole, ospedali, ecc.; e il resto dei cittadini privati, con le loro proprietà, le loro aziende, uffici, negozi ecc. e la gente che lavora. Quindi in una nazione c'è il settore governativo pubblico, e il settore dei cittadini privati. Non ce ne sono altri.


Dopo aver rivisto un intervento molto grintoso in tv di un giornalista che non ricordavo, ho voluto leggere uno dei pdf presenti sul suo sito per esaminarne il pensiero. Mi sono però fermato a questa conversazione con la nonna, ritenendola, anche se atecnica, sufficientemente esaustiva. Paolo Barnard seduce e convince la nonna con le sue teorie, soprattutto la indottrina ripetendo costantemente alcuni presupposti sui quali man mano evolvono delle conseguenze. La nonna è costantemente persuasa anche a fronte della preesistente ammirazione per gli studi svolti dal nipote in una formula che offre efficacia a questo lavoro ed una vena triste e angosciante che accompagna tutte le teorie complottiste che ci vestono da inermi e impotenti. Se,però dovessimo vestire i panni della nonna, con quel poco che abbiamo studiato, di Keynes e da Keynes in poi, sbagliando, perché secondo l’autore già vittime della disinformazione dilagante e di una già forviante formazione imposta dalla elite che oggi ci impoveriscono, qualche considerazione la faremmo, di quelle semplici che vengono in mente e immaginiamo possano essere smontate con un “non hai studiato abbastanza” o “non puoi capire”, ma che pur vengono sostenute da altra dottrina.

La teoria di Paolo Barnard si sviluppa su alcune questioni essenziali:.

Uno Stato sovrano può stampare moneta ed immetterla in circolazione senza limite alcuno

In realtà, - ci indottrina il testo - un tempo lo Stato sovrano emetteva moneta come corrispondente delle proprie risorse auree che restavano bene a garanzia degli impegni assunti di poter offrire un "controvalore". <<Dagli anni ’70 in poi, grazie a degli accordi internazionali, gli stati internazionali potevano creare moneta dal nulla, inventandosela >>. La teoria che la moneta possa essere emessa dal nulla in modo che ad ogni banconota diamo il valore che "decidiamo" che essa abbia, lascia molto discutere in questi tempi: se non vi sono beni a garanzia, se un paese non offre corrispondenti garanzie di solvibilità, la moneta immessa, ancorché emessa dallo stato sovrano, perde inevitabilmente valore sul mercato e diventa carta straccia. Ricordo qualcosa sulla circolazione di moneta che però non prescriveva che essa avesse tout court un valore corrispondente ed infatti mi sembra che la moneta emessa da uno Stato si confronti con il suo potere d'acquisto e con quelle di altri Stati, sui mercati internazionali. La teoria secondo la quale uno Stato non può andare in bancarotta perché non deve i soldi a nessun altro, pur avendoli inventati dal nulla, che ripaga gli interessi di un debito contraendone un altro come se essi non si cumulassero nel debito pubblico, che i soldi sono solo numerini che si spostano, non sembra considerare che ogni Stato, ancorché sovrano, è un attore del mercato internazionale e che sul mercato, ci sembra di poter dire, la sua credibilità si riverbera sul valore riconosciuto alla moneta da esso emessa al pari del valore delle azioni di un'azienda privata; allo stesso modo rileva il "peso" della moneta ovvero il suo potere d'acquisto. Insomma: stampare denaro dal nulla può risolvere i problemi legati alla circolazione di moneta, ma non al loro effettivo valore su un mercato globale se non supportata essa moneta da corrispettive riserve di valore indiscusso; indebitarsi emettendo titoli di stato consente di investire ma accumula interessi passivi. In tal senso, infatti, lo stesso Barnard accusa le banche private di aver fatto un gioco sporchissimo creando denaro dal nulla come fosse denaro vero, in pratica quello che suggerisce proprio come virtuoso per gli stati, come se essi non dovessero rispondere a nessuno e come se gli investimenti esteri nel paese non subissero l’influenza della credibilità del governo del paese sul piano internazionale come avvenuto anche in Italia anche prima dell’euro.

Il problema dell'Euro, e qui ci troviamo concordi, è nel fatto che gli Stati non possono produrre moneta e segnare a debito ma lo prendono in prestito da fondi privati, dalle banche. Meglio quindi che vi provvedevano gli stati anziché le banche, suggerisce Bernard, ma sempre debito erano! Se lo stato richiedente è già indebitato vengono chiesti interessi maggiori, e si scatena una spirale senza fine. Questo è un pericoloso frutto del trattare uno stato come un’azienda, ma continuiamo a non condividere che il debito pubblico sia fasullo ovvero inesistente perché <> oppure che ai tempi della lira <> perché c’era sempre in gioco la credibilità dello Stato sul mercato internazionale ed infatti gli investimenti stranieri in titoli di Stato si sono sempre misurati come grado di credibilità del governo nazionale sul panorama internazionale. Ci sono in gioco quindi due aspetti diversi: quello della sovranità ceduta dagli stati all’Unione Europea, che li costringe a chiedere fondi e ad un deleterio pareggio di bilancio, ma anche quello non considerando che la sovranità dello stato ha peso in ragione della sua credibilità sul piano internazionale: se ogni stato in quanto tale potesse creare ricchezza dal nulla, senza doverne dare ragione con le proprie risorse, non esisterebbe al mondo la povertà e quindi tutto questo convince poco. Allo stesso modo Bernard liquida in due righe la perdita del potere d'acquisto della moneta, e quindi l'inflazione come un timore infondato.

Il debito pubblico sarebbe la ricchezza dei cittadini e delle imprese


La credibilità dello stato, come dicevamo, è un’esigenza che viene del tutto ignorata, allorquando si afferma che il debito pubblico dello stato è la ricchezza dei suoi cittadini, guardando soltanto al suo interno. E' vero che ciò che investe lo Stato diviene ricchezza per i cittadini corrispondente in servizi e quindi migliore qualità della vita, vero è anche che il debito pubblico in capo allo stato in Italia era una scelta di politica economica che non ha inficiato sul benessere dei cittadini che oggi sono ridotti in miseria perché devono ripagarlo. Il discorso, però, che uno Stato può segnare costantemente a debito del proprio bilancio qualsiasi cifra senza limite alcuno, soltanto perché stampando moneta non deve dare conto a nessuno, sembra francamente una pura illusione. Sarebbe preferibile che a stampare moneta fossero gli stati, piuttosto che essere costretti a richiederlo a fondi privati, ma anche se non dovesse richiederlo e dare conto alla comunità internazionale di cui fanno parte, resterebbero comunque soggetti alle regole del mercato internazionale. In questo senso i cambi fissi tendono addirittura a bloccare la deflazione della moneta debole che, ancorché emessa da uno stato sovrano ma non considerato affidabile, perderebbe progressivamente valore sul mercato. Ricordiamo che lo stesso Craxi dichiarò che un grande paese come l’Italia avrebbe dovuto richiedere ed ottenere un tasso di cambio fisso europeo più vantaggioso per la lira.

Il debito pubblico diventa anche il profitto delle aziende, il "debito buono" che produce ricchezza, non il "debito cattivo" con cui si riparano i disastri. Certo, condivisibile, se il “debito buono” è il nome che si dà all’investimento. Secondo Barnard sarebbe solo lo Stato in grado di compiere investimenti immettendo risorse nel sistema per mezzo del debito pubblico ed alimentare così il circolo chiuso di famiglie e aziende nelle quali esse sostanzialmente si scambiano risorse alla pari. Ci sembra invece, pur sapendo che solo lo stato sopporterebbe le perdite di servizi essenziali e non lucrativi, che il criterio del moltiplicatore degli investimenti secondo il quale un investimento produce ripetutamente ricchezza, vale per ogni investimento immesso sul mercato, non solo per l’investimento dello Stato, che quindi i benefici dell’investimento siano da riconoscersi a qualsivoglia investimento anche quello svolto da un soggetto privato, come immissione benefica nell’economia del Paese. In quest’ottica quindi, se il privato non investe dove non v’è lucro è pur vero che contribuisce con l’investimento ad una migliore economia del paese.

I poteri forti

Il testo riferisce come macabra l'applicazione delle teorie di David Ricardo, Milton Friedman e Cecil Pigou e che la Comunità Europea sarebbe il frutto di leggi più forti imposte dalle elite per sottrarre le monete sovrane agli stati ed impedire che gli stati spendessero per i loro cittadini, sostenendo che se invece fossero rimasti sovrani avrebbero potuto anche controllare l'inflazione. In realtà, il problema della sovranità degli Stati ceduta all’Unione Europea per mezzo dei trattati internazionali, si pone, non solo in termini economici, ma anche in termini giuridici ed influisce sulla vita dei cittadini, ma anche in questo caso, non può risolversi nei termini in cui lo stato sovrano è unico attore del mercato globale e non deve dar conto a nessuno. A favore della nostra considerazione sul pericolo dell’inflazione che lo Stato non può controllare, Barnard cita infatti George Soros che avrebbe inondato i mercati di sterline per mandare in bancarotta l’Inghilterra. La vendita o svendita di tutte le aziende di proprietà dello Stato che fungevano da garanzia ripropone il problema che anche lo stato sovrano necessità di una credibilità che esso possa far fronte ai debiti: difficile dire se essa sia stata la causa del nostro impoverimento o la conseguenza della pressione fatta per imporre allo Stato italiano di venderle per “far cassa” e pagare il debito pubblico.

La crisi sarebbe voluta e imposta dai grandi produttori per abbattere i costi del lavoro e renderli concorrenziali rispetto al mercato cinese e potersi proporre sui mercati della Cina, Brasile, America, Giappone, India; i poteri forti <<hanno tolto allo Stato […] il potere di creare ricchezza […] con la spesa a debito buono, [...] potere […] diventato esclusivamente di pochi miliardari privati>>.

Chi ha creato la crisi con la sua ricetta – ci dice l’autore - propone ancora quella ricetta perché <<non ne avete presa abbastanza>> ed aggrava continuamente la situazione in un gioco a spirale. Bernard indica due gruppi: uno che punta alla riduzione del costo del lavoro per aggredire mercati emergenti e l’altro che punta ad accaparrarsi servizi essenziali forniti dallo Stato per avere i clienti garantiti. Gli speculatori si inventavano <<trucchi contabili complicatissimi che nessuno capirà>> per prendere per il collo interi stati, le super banche moltiplicavano soldi fittizi. Occorreva una crisi per abbassare i salari, per costringere lo stato a cedere i servizi ai privati per fare cassa, per impoverire gli stati, quindi una crisi imposta e pilotata. "Le elite […] hanno sguinzagliato i loro predicatori […] con le ricette economiche che […] creano crisi su crisi".

Unico rilievo è che sembra fondato che questa sia una crisi imposta e non dovuta ad un particolare accidente di un qualcun tipo, che il nostro paese stia soccombendo perché i cittadini sono stati costretti a pagare di tasca propria il pareggio di bilancio che nell’ottica di stati che devono pareggiare i bilanci come le imprese ,impedisce di accumulare debito in base alla loro credibilità. Una stretta economica dovuta al fatto che la politica ha ceduto il passo all’economia ed in un’ottica globale, perché globale è il mercato che viviamo ai giorni nostri. Lontani i tempi in cui uno stato poteva dire “porto a debito perché son chi sono”, ed il mercato globale sarebbe gestito dai c.d. “poteri forti”. Anche il riferimento ai “poteri forti” nel testo non vale ad identificarli e smascherarli, né qui si propone una soluzione.

Come dicevamo all’inizio, il carattere complottista del lavoro, proposto in chiave divulgativa “a chi non può capire” ci offre la sola possibilità di sentirci schiavi di una componente occulta e onnipotente e non propone soluzione alcuna. Alle fin fine sembra che anche dissentire da questa visione della realtà sia frutto del potere dei “poteri forti”. E quindi per questa via ci si trova o ignoranti o inconsapevoli, ma comunque schiavi. Che tristezza!!!




Giulio della Valle

lunedì 18 aprile 2016

Io, morto per dovere


 La vera storia di Roberto Mancini, il poliziotto che ha scoperto la terra dei fuochi

Luca Ferrari - Nello Trocchia con Monika Dobrowolska Mancini


 Ed. Piemme




"Voglio pensare che forse i tempi non erano maturi"

 (R. Mancini)


Il libro viene reso disponibile all'indomani della messa in onda della fiction RAI "io non mi arrendo" con Giuseppe Fiorello, nel quale l'attore con un suo bel lavoro, veste i panni del poliziotto che, per primo, indagò sulle vicende ormai note come quelle relative alla "terra dei fuochi". Svolgendo il suo lavoro l'ispettore approda ai traffici delle ecomafie a metà degli anni '90, anni nei quali viene istituito il commissariato emergenza rifiuti in Campania, e già dal fatto che venne poi rinominato dell'emergenza idrogeologica in Campania nel 2000, sembra potersi vedere istituzionalizzata la consapevolezza che qualcuno scavasse le cave fino alla falda acquifera e riempisse il tutto di rifiuti.

Eppure siamo qui a parlarne come di un passato pur recente ma già divenuto fiction, ora che la terra dei fuochi è un presente che chiede ancora risposte e soluzioni giacché quello scempio che si è fatto del territorio produce ancora morti. Morti da bambini o compromessi da malattie attualmente incurabili gli individui che vivono quel territorio e che vi sembrano legati indissolubilmente, che segnano la sorte di un territorio dal quale bisognerebbe a tutti i costi allontanarsi. <<Per andare dove? Questa è la nostra casa, la nostra terra>> risponde nella fiction la madre della giovane vittima Vincenzino. Vincenzino, nella fiction, anticipa la sorte che toccherà a Roberto Mancini scomparso il 30 aprile 2014 dopo aver combattuto contro un linfoma non Hodgkin, un tumore contratto a causa dei suoi sopralluoghi sulla terra dei fuochi.

Il libro si annuncia come la pubblicazione della copiosa informativa Mancini degli anni '90, ma si spende nella celebrazione biografica dell'uomo, per un terzo nelle vicende di un giovane liceale di sinistra negli anni della contestazione, accodando come "informativa" la sola rilettura di alcune intercettazioni prodotta nel 2013 al sostituto procuratore Milita presso la Procura della Repubblica di Napoli.

***

La vicenda giudiziaria relativa a quel fenomeno criminale ed all'informativa di Mancini degli anni '90 desta stupore, uno stupore già vissuto per una storia recente del nostro paese portata sullo schermo dalla RAI e da Beppe Fiorello, quella relativa al caso Barillà. Se lì la vicenda giudiziaria ebbe risvolti inverosimili per la verità che emergeva dagli atti processuali, qui non ci si imbatte in una vicenda giudiziaria vera e propria, si scopre quasi con stupore che processi pur ce ne sono stati ma mai individuando la vicenda nella sua unitarietà come suggerisce oggi la concentrazione territoriale e la definizione del fenomeno. Vicende giudiziarie concluse senza clamore, altre ancora in corso, dalle quali si desume che a quel lavoro di Roberto Mancini qualche riscontro già si era offerto pur essendo rimasto inspiegabilmente ignorato nei cassetti degli uffici giudiziari per sedici lunghissimi anni.

<<Un punto emerge subito con forza (ivi pag.48): non sarebbe esistita una sconcia e immonda storia criminale e cammorristica senza l'appoggio della borghesia affaristica, [...] mancano i nomi dei principali responsabili, dei complici, dei politici, degli infedeli servitori dello Stato, dei professionisti e degli imprenditori>>.

Sembra quindi che il fatto che oggi sconvolge di questo fenomeno criminale troppo a lungo ignorato è che esso sia stato considerato al pari di un qualsiasi affare losco per il concorso di apparati dello Stato o per il voluto disinteressamento di questi e di un intero sistema impegnato a svolgere affari legali, prima che diventasse un fenomeno "sociale" che si è finalmente imposto alla pubblica opinione solo ai nostri giorni ed attende una risposta adeguata.

L'informativa presentata dalla squadra che dirigeva Roberto Mancini negli anni '90 fu considerata non meritevole di un procedimento giudiziario. <<Voglio pensare che forse i tempi non erano maturi>> commenterà Mancini (Ivi pag.51), e noi cosa dobbiamo pensare: che non era ancora entrato nella coscienza collettiva il Decreto Ronchi del '92 che classificava ogni manufatto non naturale come rifiuto nella sua specifica tipologia, mentre ancora si pensava ai "rifiuti" come quelli che in quel decreto erano i soli "residui di mensa", spazzatura, monnezza e non ai "rifiuti" pericolosi classificati in tossici e nocivi che erano scarti dei procedimenti di lavorazione industriale o fanghi tossici che finivano ad essere concime in un territorio dello Stato? Oppure oltre alla borghesia affaristica di cui dicevamo c'era anche una ben precisa regia occulta, che prevedeva il disinteresse dello Stato, il coinvolgimento della Massoneria di Licio Gelli cui fa riferimento anche il pentito Carmine Schiavone, citato nel testo? <<La portata delle indagini e degli accertamenti tecnici da fare avrebbe comportato sia un impegno notevole di denaro, sia il rischio che si creasse una sorta di panico nella popolazione>>, affermava ancora Mancini (Ivi pag.51): nulla a confronto delle bonifiche che si renderebbero oggi necessarie, nulla a confronto del panico nel quale vive quella popolazione abbandonata all'avvelenamento. Eppure oggi, a distanza di tanto tempo, quel lavoro trova il suo riscontro nella realtà ed assume i connotati di un primo passo possibile che nessuno ha voluto compiere.

Il libro celebra Roberto Mancini e gli autori lo raccontano sin dall'attivismo dei tempi del liceo. C'è dovizia di particolari, sembrano esserci tutti i nomi e c'è una cronaca chiara e scorrevole degli avvenimenti. Ne emerge il carattere, il tratto umano di chi ha soltanto fatto il suo dovere, senza fare carriera. Le sue stesse tristi considerazioni sul fare carriera (Ivi pag.30) possono applicarsi però a qualunque carriera in un organismo: accettare compromessi, ricercare consenso, semmai conquistarsi i superiori con fare servile, non crediamo valga solo in polizia. Allo stesso modo emerge l'uomo nella parte finale del testo e nel racconto amorevole della moglie Monica. La vicenda relativa alla sua indagine più importante resta il cuore, il fulcro del libro, ma sembra la cronaca quasi scontata di ciò che avveniva nel trattare loschi affari dei quali non era stata compresa la portata; dalla sua informativa del 2013, in fondo al testo, si desume che tutto quanto a suo tempo intuiva accadere sotto il suo orecchio di intercettatore rimase privo di una conseguente azione: si ascoltava, si intuiva, si desumeva e ricostruiva, e nessuno ritenne opportuno "andare a vedere", intervenire!

Il processo a Cipriano Chianese, avvocato di Santa Maria Capua Vetere, imprenditore, deus ex machina dell'affaire rifiuti, informatore dello Stato sui crimini in materia ambientale e mancato consulente governativo per la risoluzione dei problemi relativi allo smaltimento dei rifiuti è tuttora in corso. Ne sono capi di accussa: associazione a delinquere, avvelenamento delle acque e disastro ambientale.

Onore a Roberto Mancini, un onore meritato anche secondo le alte cariche dello Stato, ma un riconoscimento postumo, purtroppo, perfino vano, finché non si offriranno risposte alla terra dei fuochi.



Giulio della Valle

lunedì 11 aprile 2016

Il nome di Dio è Misericordia - Una conversazione con Andrea Tornelli - Ed. Piemme

Il nome di Dio è Misericordia

 Una conversazione con Andrea Tornielli

 Ed. Piemme




"Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe"


L'intervento di Roberto Benigni alla presentazione del libro di Papa Bergoglio non mi ha entusiasmato.

Sia pure per aspetti diversi, suscitano entrambi delle perplessità! Il libro in cui il Papa affronta il tema dell'Anno Santo indetto dalla Chiesa cattolica romana sarebbe potuto rimanere nella libreria come un soprammobile, ma merita una lettura, ancor più che per la sua attualità, per quel sano principio secondo il quale occorre approfondire ciò che poi si vuole apertamente criticare. Pertanto, l'ho letto la sera stessa in cui lo avevo acquistato, trovandolo semplice ed alla portata di tutti; gradevole, volutamente informale ed universale.

"Dio perdona, io no!", "Non fatevi giustizia da voi stessi, ma lasciate fare all'ira divina", "Porgi l'altra guancia", "Ama il prossimo tuo come te stesso", "Ama il tuo nemico", sono motti che racchiudono probabilmente tutti i modi di intendere la misericordia. Chi si riconosce in uno di questi, e quindi, forse, davvero chiunque, può trovare interessante la lettura di questa conversazione con Papa Francesco, per alcuni professore di una fede semplicistica pret a porter, che invita a perdonare con una carezza. Lo stile è molto scorrevole e godibile, le domande sembrano esserci tutte; ci si può soffermare sul Papa-pensiero, per quanto lo si voglia criticare, e desumere dalla scelta stessa del tema dell'Anno Santo e del modo universale di affrontarlo, che, agli occhi del Pontefice, il male attuale dell'umanità è quello di perire sotto il peso dei propri errori, di spegnersi al confronto dei propri affanni e così sminuire le potenzialità di cui ciascun individuo, in quanto figlio di Dio, è dotato.

Il desiderio di includere tutti può presentare come troppo permissiva la dottrina di Papa Bergoglio, ma ciò sembra rendersi necessario sia per indicare che la vita è un percorso fatto di cadute dopo le quali rialzarsi, sia per sostenere chi, vivendosi come "indegno", rinuncia a perseverare e si perde, quanto meno, nell'indifferenza. A questi soprattutto sembra rivolto il messaggio nel testo: ribadire la certezza assoluta della misericordia di Dio.

Il testo fa riferimento a passi molto noti delle scritture: la lapidazione dell'adultera, la parabola del figliol prodigo e quella del fariseo e del pubblicano, il tradimento di Pietro, il perdono perpetuo delle settantasette volte sette.
A proposito di questi passi desidero osservare brevemente, anche in questa occasione, che, in un'ottica squisitamente giuridica, che pur riveste il suo interesse, la domanda sul destino da riservare all'adultera, rivolta a Gesù, non è necessariamente un inganno ma il dilemma di uomini pii, rispettosi della legge sancita al tempo, per garantire l'ordine sociale, rispetto alla quale non conoscono altra possibile soluzione alternativa.
Quella norma rispetto alla quale Gesù si presenta come elemento di rottura, "va oltre", riconosce il peccato ma rifiuta che venga applicata la pena, venendo giustamente percepito come un rivoluzionario, colui che predica contra legem: <<La misericordia [...] non cancella i peccati, [...] è il modo in cui Dio perdona>>. <<La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità, [...] ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio>> (Ivi, pag.66) Lo stesso può dirsi per l'ordine di isolare il lebbroso, in merito alle esigenze di ordine pubblico, onde evitare il contagio, cui contravviene Gesù e, sul suo esempio, molto tempo dopo, S. Francesco.

Un atteggiamento rispetto al quale Papa Francesco offre il suo pensiero, pensando, in modo simbolico ad una malattia interiore: <<Bisogna entrare nel buio, nella notte che attraversano tanti nostri fratelli. [...] far sentire la nostra vicinanza senza lasciarsi coinvolgere e condizionare da quel buio, [...] cercare di raggiungere tutti testimoniando la misericordia [...] evitando l'atteggiamento di chi giudica e condanna>>. <<Quando qualcuno comincia a scoprirsi ammalato nell'anima [...] deve essere accolto, non respinto o tenuto ai margini>>. <<Deve trovare accoglienza [...] qualcuno che sta sulla soglia>> cui Papa Francesco sembra dedicare molta attenzione.

Ciò, però, risponde ad altre tipologie di malattia, presuppone una grande fede, un'incrollabile "tenuta" ai propri valori, e va considerato che ciò spesso non appartiene all'uomo comune che, come dire, "... praticando lo zoppo, impara a zoppicare". E' comprensibile quindi che l'uomo eriga dei confini oltre i quali è cosciente che potrebbe corrompersi. Tornando in modo eminentemente pratico al lebbroso, ormai sdoganato dalla convinzione antica che la malattia fosse la pena per i peccati commessi, l'ottica spirituale di Bergoglio, ribadita come logica da contrapporre alla logica dei dottori della legge, non soddisfa l'esigenza che sovviene di tutelare la città dal contagio, in materia di ordine pubblico, un'esigenza eminentemente pratica di chi doveva garantire la pubblica incolumità in tema di salute, sulla quale si può sorvolare soltanto perché oggi non si pone un problema in termini analoghi al passato.

Ci piace ricordare, infatti, che quando si parla di legge, si parla anche di potere costituito e di esigenze di ordine pubblico: chi ha studiato "il processo contro Gesù" di Amarelli F. (Curatore), Lucrezi F. (Ed. Iovene), sa bene infatti che gli ebrei del sinedrio non potevano condannare Gesù alla pena di morte e doverono sollecitare l'intervento di Roma, potere costituito, ad intervenire per esigenze di ordine pubblico, onde tramutare un reato religioso in un crimine penalmente perseguibile.

Oggi che la confessione si chiama "riconciliazione", la cresima "confermazione" ed il sepolcro "altare della reposizione" è il caso di considerare che la parabola del figliol prodigo viene chiamata "parobola del padre misericordioso", giacché il figliolo si era soltanto cercato, col suo ritorno, una condizione più vantaggiosa di quella nella quale si era venuto a trovare, peggiore finanche di quella dei servi di suo padre. Nulla si dice sul pentimento del figliol prodigo, perché il padre lo accoglie, lo abbraccia e lo perdona ancor prima che possa proferire parola, osserva Papa Francesco. Se il pentimento è il presupposto della confessione e la confessione è funzionale all'assoluzione, sembra essersi evoluta anche questa visione, nella quale si mette in evidenza la misericordia del padre, offerta come dono. In tema di confessione, ricordo che lo stesso Cardinale Carlo Maria Martini, rivendicava la confessione come risorsa, dono, per l'umanità intera e quindi prima di vederla in funzione dell'assoluzione, la presentava come preziosa opportunità di condivisione: essere ascoltati, con la certezza del vincolo del segreto, ed essere confortati da una persona che assume la funzione così alta di agire in persona Christi è una risorsa per tutta l'umanità.

Mi sembrano seguire questo solco le parole di Papa Bergoglio quando invita i confessori a benedire anche ove non possano assolvere, riconoscere un ruolo primario all'ascolto, a quello che chiama l'apostolato    dell'orecchio:   <<  Le persone  cercano soprattutto qualcuno che le ascolti. Qualcuno disposto a donare il proprio tempo per ascoltare i loro drammi e le loro difficoltà. E' quello che io chiamo "l'apostolato dell'orecchio", ed è importante. Ai confessori mi sento di dire [...] sono cercati da Dio, bisognosi di benedizione. Abbiate tenerezza con queste persone. Non allontanatele. La gente soffre.>>. (Ivi pag. 32)

La gente soffre e sembra avere sempre più bisogno di perdono. Sempre più numerose le indulgenze o quanto meno più conosciute, rispetto ad una tradizione nella quale la Chiesa urlava:<<Pentitevi!>>. Legate a eventi eccezionali come l'anno santo, indetto peraltro sempre più frequentemente, sembra si siano moltiplicate: siano esse legate ad un pellegrinaggio ed alla recita di alcune preghiere, sia soltanto al passaggio attraverso una porta santa come la porta della casa di Maria presso il santuario di Loreto. Di certo appare che il nostro tempo, forse proprio perché è parco di tonificante severità, sia scivolato in una soddisfazione che diviene insoddisfacenza soporifera in cui, in fondo, non ci sente in grado di lottare per le grandi aspirazioni, mancano i grandi ideali e gli errori pesano come macigni stagnanti. Da qui l'universale bisogno di misericordia, di un costante rinnovamento dell'individuo che ne preservi le potenzialità alla quale la Chiesa sembra voler rispondere con questo Anno Santo. E' evidente quindi che al tema della Misericordia siano correlati quelli del perdono, del pentimento, del ricorso al sacramento della confessione.

Mi sono abbandonato a queste personali considerazioni, ripercorrendo quanto questa lettura mi ha suscitato, senza nulla voler togliere al tema della misericordia, a quel perdono che secondo il Catechismo della Chiesa si concede a chi si accusa, pentito, dei propri peccati, vivendo, ci dice Bergoglio, una vergogna dalla quale Dio innalza, ma che sembra necessario concedere anche a chi si spiace di non provare pentimento, tanto è necessario fare della Chiesa <<un ospedale da campo in cui si curano innanzitutto le ferite più gravi>> (Ivi pag. 24). Bergoglio quindi va oltre certa dottrina: anche cogliere il rammarico di un mancato pentimento è un passo, finanche quel rammarico può essere il desiderio di muovere un piccolo passo verso Dio, un punto di partenza per soccorrere un individuo che soffre, per innestare un sostegno costante alla sofferenza, <<il piccolo spiraglio che permette al prete misericordioso di dare l'assoluzione>> chiosa nell'introduzione Tornelli. Questo mette a tacere chi vede ancora oggi la Chiesa legata all'inquisizione o all'uso del cilicio, e presenta una Chiesa che accoglie l'individuo che soffre, che sana le sofferenze.

La Misericordia cura un'umanità ferita, che porta ferite profonde perché ritiene di soffrire di un peccato che è un male incurabile ed <<oggi si cerca salvezza dove si può>> (Ivi pag. 31), chi non crede in Dio finisce col credere a tutto, ma anche chi si vergogna di sé, giacché soffre, si ritrae nell'indifferenza, persone che <<si allontanano e magari non tornano più>> (Ivi pag. 32). La confessione, in Papa Francesco, è un incontro con l'accoglienza ed il perdono, impossibile davanti ad uno specchio. Lo stesso catechismo della Chiesa Cattolica riconosce pregio alla confessione anche da un punto di vista semplicemente umano, giacché libera e facilita la riconciliazione con gli altri ... e facilita un nuovo avvenire [1455]. Papa Bergoglio cita come grande lezione l'esempio di Sant'Ignazio, allora combattente, che ricorse alla confessione presso un commilitone laico temendo di essere prossimo alla morte. Offre delle indicazioni per la confessione sia ai consacrati sia ai fedeli: non sia una sala di tortura, ma non ci si rechi come in tintoria, (viene in mente l'Atto di dolore che al pentimento per le proprie mancanze aggiunge un proposito per il futuro), non recitare un formulario come se non si fosse peccato, perché non riconoscere il peccato significa non rendersi consapevoli di avere una ferita da guarire.

Il peccato è una ferita da medicare, quindi, prenderne coscienza, anche a costo di ricadere nello stesso peccato e soffrirne: rialzarsi sempre, non rimanere a terra a leccarsi le ferite. Così in questo dialogo aperto a tutti che invita ad accettare le proprie debolezze, ad accettare che le cadute sono insiste nell'uomo, che invita sempre e comunque a perseverare e rialzarsi, si percepisce che il sacramento della confessione è uno strumento privilegiato di accesso alla misericordia divina, ma al contempo la migliore opportunità per rialzarsi, come la costante di un percorso, dello svolgersi della vita.

A chi vi accede e ciò nonostante non si sente "innalzato" sembra rivolgersi il Papa quando invita ad accogliere la misericordia come dono immenso che agli occhi umani può apparire perfino <<ingiusto>> (Ivi pag. 50).

E con tutte queste considerazioni sembra comprendersi davvero tutti: da chi si confida soltanto con un amico a chi dall'assoluzione non si sente riconciliato. La misericordia coglie chi è disposto ad essere stupito, ci dice, avvertendo il proprio bisogno, il vuoto, la propria miseria, per non "incorrere" nella superbia. Il vero male, nel sociale, dunque non è il peccato, ma la corruzione intesa come uno stato di autoreferenzialità dove ci si stanca di chiedere il perdono e si finisce per credere di non doverlo più chiedere e non ci si mette più in discussione.

All'uomo comune resta il compito della compassione: patire con l'altro, lasciarsi coinvolgere! <<Aprirsi alla misericordia di Dio, aprire se stesso e il proprio cuore [...] e cercare di essere misericordioso con gli altri>> (Ivi pag. 107).

Certo, il vero cristiano condivide, vive di gioia, non vede la Passione ma la Resurrezione, ringrazia del dono della vita ogni giorno, eppure tanti fatti del nostro tempo ci dicono che l'uomo si spegne o perisce quando si sente senza scampo o senza alternativa.

Proprio giorni fa a chi diceva che nel mondo domina soltanto l'assoluta indifferenza un Gesuita rispondeva: <<Siamo pieni di sensi di colpa>>. In questo contesto sembra inserirsi il messaggio di Papa Francesco nell'Anno Santo della Misericordia, la Misericordia che può alleviare gli afflitti, riscattare i derelitti, riavviare i cuori.

Una lettura piacevole su una "porta sempre aperta" per un Cattolico cristiano sbagliato, mal praticante, come il sottoscritto.

<<Il Signore è fedele perché non può rinnegare se stesso>> (Ivi, pag. 25)

<<il peccato ferisce l'umanità [intera] (Ivi, pag. 38). [...] La vergogna per il proprio peccato è una grazia, riconoscersi peccatori è una grazia (Ivi, pag. 48) : [...] Dio ti rimane fedele e ti innalza (Ivi, pag. 26). [...]Più ci riconosciamo bisognosi, più ci vergogniamo e ci umiliamo, più presto veniamo inondati dal suo abbraccio di grazia (Ivi, pag. 97)>>


Giulio della Valle