sabato 23 aprile 2016

Nonna, ti spiego la crisi economica


 Paolo Barnard


 Ed. e-saggi




Per capire cosa sta succedendo, dobbiamo capire un paio di cose prima. Abbi pazienza. Allora: prendi una nazione e pensa a come è fatta. C'è un territorio con delle frontiere, e dentro ci sono solo due cose: il governo e tutta la sua roba, cioè le sue proprietà, aziende, uffici, scuole, ospedali, ecc.; e il resto dei cittadini privati, con le loro proprietà, le loro aziende, uffici, negozi ecc. e la gente che lavora. Quindi in una nazione c'è il settore governativo pubblico, e il settore dei cittadini privati. Non ce ne sono altri.


Dopo aver rivisto un intervento molto grintoso in tv di un giornalista che non ricordavo, ho voluto leggere uno dei pdf presenti sul suo sito per esaminarne il pensiero. Mi sono però fermato a questa conversazione con la nonna, ritenendola, anche se atecnica, sufficientemente esaustiva. Paolo Barnard seduce e convince la nonna con le sue teorie, soprattutto la indottrina ripetendo costantemente alcuni presupposti sui quali man mano evolvono delle conseguenze. La nonna è costantemente persuasa anche a fronte della preesistente ammirazione per gli studi svolti dal nipote in una formula che offre efficacia a questo lavoro ed una vena triste e angosciante che accompagna tutte le teorie complottiste che ci vestono da inermi e impotenti. Se,però dovessimo vestire i panni della nonna, con quel poco che abbiamo studiato, di Keynes e da Keynes in poi, sbagliando, perché secondo l’autore già vittime della disinformazione dilagante e di una già forviante formazione imposta dalla elite che oggi ci impoveriscono, qualche considerazione la faremmo, di quelle semplici che vengono in mente e immaginiamo possano essere smontate con un “non hai studiato abbastanza” o “non puoi capire”, ma che pur vengono sostenute da altra dottrina.

La teoria di Paolo Barnard si sviluppa su alcune questioni essenziali:.

Uno Stato sovrano può stampare moneta ed immetterla in circolazione senza limite alcuno

In realtà, - ci indottrina il testo - un tempo lo Stato sovrano emetteva moneta come corrispondente delle proprie risorse auree che restavano bene a garanzia degli impegni assunti di poter offrire un "controvalore". <<Dagli anni ’70 in poi, grazie a degli accordi internazionali, gli stati internazionali potevano creare moneta dal nulla, inventandosela >>. La teoria che la moneta possa essere emessa dal nulla in modo che ad ogni banconota diamo il valore che "decidiamo" che essa abbia, lascia molto discutere in questi tempi: se non vi sono beni a garanzia, se un paese non offre corrispondenti garanzie di solvibilità, la moneta immessa, ancorché emessa dallo stato sovrano, perde inevitabilmente valore sul mercato e diventa carta straccia. Ricordo qualcosa sulla circolazione di moneta che però non prescriveva che essa avesse tout court un valore corrispondente ed infatti mi sembra che la moneta emessa da uno Stato si confronti con il suo potere d'acquisto e con quelle di altri Stati, sui mercati internazionali. La teoria secondo la quale uno Stato non può andare in bancarotta perché non deve i soldi a nessun altro, pur avendoli inventati dal nulla, che ripaga gli interessi di un debito contraendone un altro come se essi non si cumulassero nel debito pubblico, che i soldi sono solo numerini che si spostano, non sembra considerare che ogni Stato, ancorché sovrano, è un attore del mercato internazionale e che sul mercato, ci sembra di poter dire, la sua credibilità si riverbera sul valore riconosciuto alla moneta da esso emessa al pari del valore delle azioni di un'azienda privata; allo stesso modo rileva il "peso" della moneta ovvero il suo potere d'acquisto. Insomma: stampare denaro dal nulla può risolvere i problemi legati alla circolazione di moneta, ma non al loro effettivo valore su un mercato globale se non supportata essa moneta da corrispettive riserve di valore indiscusso; indebitarsi emettendo titoli di stato consente di investire ma accumula interessi passivi. In tal senso, infatti, lo stesso Barnard accusa le banche private di aver fatto un gioco sporchissimo creando denaro dal nulla come fosse denaro vero, in pratica quello che suggerisce proprio come virtuoso per gli stati, come se essi non dovessero rispondere a nessuno e come se gli investimenti esteri nel paese non subissero l’influenza della credibilità del governo del paese sul piano internazionale come avvenuto anche in Italia anche prima dell’euro.

Il problema dell'Euro, e qui ci troviamo concordi, è nel fatto che gli Stati non possono produrre moneta e segnare a debito ma lo prendono in prestito da fondi privati, dalle banche. Meglio quindi che vi provvedevano gli stati anziché le banche, suggerisce Bernard, ma sempre debito erano! Se lo stato richiedente è già indebitato vengono chiesti interessi maggiori, e si scatena una spirale senza fine. Questo è un pericoloso frutto del trattare uno stato come un’azienda, ma continuiamo a non condividere che il debito pubblico sia fasullo ovvero inesistente perché <> oppure che ai tempi della lira <> perché c’era sempre in gioco la credibilità dello Stato sul mercato internazionale ed infatti gli investimenti stranieri in titoli di Stato si sono sempre misurati come grado di credibilità del governo nazionale sul panorama internazionale. Ci sono in gioco quindi due aspetti diversi: quello della sovranità ceduta dagli stati all’Unione Europea, che li costringe a chiedere fondi e ad un deleterio pareggio di bilancio, ma anche quello non considerando che la sovranità dello stato ha peso in ragione della sua credibilità sul piano internazionale: se ogni stato in quanto tale potesse creare ricchezza dal nulla, senza doverne dare ragione con le proprie risorse, non esisterebbe al mondo la povertà e quindi tutto questo convince poco. Allo stesso modo Bernard liquida in due righe la perdita del potere d'acquisto della moneta, e quindi l'inflazione come un timore infondato.

Il debito pubblico sarebbe la ricchezza dei cittadini e delle imprese


La credibilità dello stato, come dicevamo, è un’esigenza che viene del tutto ignorata, allorquando si afferma che il debito pubblico dello stato è la ricchezza dei suoi cittadini, guardando soltanto al suo interno. E' vero che ciò che investe lo Stato diviene ricchezza per i cittadini corrispondente in servizi e quindi migliore qualità della vita, vero è anche che il debito pubblico in capo allo stato in Italia era una scelta di politica economica che non ha inficiato sul benessere dei cittadini che oggi sono ridotti in miseria perché devono ripagarlo. Il discorso, però, che uno Stato può segnare costantemente a debito del proprio bilancio qualsiasi cifra senza limite alcuno, soltanto perché stampando moneta non deve dare conto a nessuno, sembra francamente una pura illusione. Sarebbe preferibile che a stampare moneta fossero gli stati, piuttosto che essere costretti a richiederlo a fondi privati, ma anche se non dovesse richiederlo e dare conto alla comunità internazionale di cui fanno parte, resterebbero comunque soggetti alle regole del mercato internazionale. In questo senso i cambi fissi tendono addirittura a bloccare la deflazione della moneta debole che, ancorché emessa da uno stato sovrano ma non considerato affidabile, perderebbe progressivamente valore sul mercato. Ricordiamo che lo stesso Craxi dichiarò che un grande paese come l’Italia avrebbe dovuto richiedere ed ottenere un tasso di cambio fisso europeo più vantaggioso per la lira.

Il debito pubblico diventa anche il profitto delle aziende, il "debito buono" che produce ricchezza, non il "debito cattivo" con cui si riparano i disastri. Certo, condivisibile, se il “debito buono” è il nome che si dà all’investimento. Secondo Barnard sarebbe solo lo Stato in grado di compiere investimenti immettendo risorse nel sistema per mezzo del debito pubblico ed alimentare così il circolo chiuso di famiglie e aziende nelle quali esse sostanzialmente si scambiano risorse alla pari. Ci sembra invece, pur sapendo che solo lo stato sopporterebbe le perdite di servizi essenziali e non lucrativi, che il criterio del moltiplicatore degli investimenti secondo il quale un investimento produce ripetutamente ricchezza, vale per ogni investimento immesso sul mercato, non solo per l’investimento dello Stato, che quindi i benefici dell’investimento siano da riconoscersi a qualsivoglia investimento anche quello svolto da un soggetto privato, come immissione benefica nell’economia del Paese. In quest’ottica quindi, se il privato non investe dove non v’è lucro è pur vero che contribuisce con l’investimento ad una migliore economia del paese.

I poteri forti

Il testo riferisce come macabra l'applicazione delle teorie di David Ricardo, Milton Friedman e Cecil Pigou e che la Comunità Europea sarebbe il frutto di leggi più forti imposte dalle elite per sottrarre le monete sovrane agli stati ed impedire che gli stati spendessero per i loro cittadini, sostenendo che se invece fossero rimasti sovrani avrebbero potuto anche controllare l'inflazione. In realtà, il problema della sovranità degli Stati ceduta all’Unione Europea per mezzo dei trattati internazionali, si pone, non solo in termini economici, ma anche in termini giuridici ed influisce sulla vita dei cittadini, ma anche in questo caso, non può risolversi nei termini in cui lo stato sovrano è unico attore del mercato globale e non deve dar conto a nessuno. A favore della nostra considerazione sul pericolo dell’inflazione che lo Stato non può controllare, Barnard cita infatti George Soros che avrebbe inondato i mercati di sterline per mandare in bancarotta l’Inghilterra. La vendita o svendita di tutte le aziende di proprietà dello Stato che fungevano da garanzia ripropone il problema che anche lo stato sovrano necessità di una credibilità che esso possa far fronte ai debiti: difficile dire se essa sia stata la causa del nostro impoverimento o la conseguenza della pressione fatta per imporre allo Stato italiano di venderle per “far cassa” e pagare il debito pubblico.

La crisi sarebbe voluta e imposta dai grandi produttori per abbattere i costi del lavoro e renderli concorrenziali rispetto al mercato cinese e potersi proporre sui mercati della Cina, Brasile, America, Giappone, India; i poteri forti <<hanno tolto allo Stato […] il potere di creare ricchezza […] con la spesa a debito buono, [...] potere […] diventato esclusivamente di pochi miliardari privati>>.

Chi ha creato la crisi con la sua ricetta – ci dice l’autore - propone ancora quella ricetta perché <<non ne avete presa abbastanza>> ed aggrava continuamente la situazione in un gioco a spirale. Bernard indica due gruppi: uno che punta alla riduzione del costo del lavoro per aggredire mercati emergenti e l’altro che punta ad accaparrarsi servizi essenziali forniti dallo Stato per avere i clienti garantiti. Gli speculatori si inventavano <<trucchi contabili complicatissimi che nessuno capirà>> per prendere per il collo interi stati, le super banche moltiplicavano soldi fittizi. Occorreva una crisi per abbassare i salari, per costringere lo stato a cedere i servizi ai privati per fare cassa, per impoverire gli stati, quindi una crisi imposta e pilotata. "Le elite […] hanno sguinzagliato i loro predicatori […] con le ricette economiche che […] creano crisi su crisi".

Unico rilievo è che sembra fondato che questa sia una crisi imposta e non dovuta ad un particolare accidente di un qualcun tipo, che il nostro paese stia soccombendo perché i cittadini sono stati costretti a pagare di tasca propria il pareggio di bilancio che nell’ottica di stati che devono pareggiare i bilanci come le imprese ,impedisce di accumulare debito in base alla loro credibilità. Una stretta economica dovuta al fatto che la politica ha ceduto il passo all’economia ed in un’ottica globale, perché globale è il mercato che viviamo ai giorni nostri. Lontani i tempi in cui uno stato poteva dire “porto a debito perché son chi sono”, ed il mercato globale sarebbe gestito dai c.d. “poteri forti”. Anche il riferimento ai “poteri forti” nel testo non vale ad identificarli e smascherarli, né qui si propone una soluzione.

Come dicevamo all’inizio, il carattere complottista del lavoro, proposto in chiave divulgativa “a chi non può capire” ci offre la sola possibilità di sentirci schiavi di una componente occulta e onnipotente e non propone soluzione alcuna. Alle fin fine sembra che anche dissentire da questa visione della realtà sia frutto del potere dei “poteri forti”. E quindi per questa via ci si trova o ignoranti o inconsapevoli, ma comunque schiavi. Che tristezza!!!




Giulio della Valle

lunedì 18 aprile 2016

Io, morto per dovere


 La vera storia di Roberto Mancini, il poliziotto che ha scoperto la terra dei fuochi

Luca Ferrari - Nello Trocchia con Monika Dobrowolska Mancini


 Ed. Piemme




"Voglio pensare che forse i tempi non erano maturi"

 (R. Mancini)


Il libro viene reso disponibile all'indomani della messa in onda della fiction RAI "io non mi arrendo" con Giuseppe Fiorello, nel quale l'attore con un suo bel lavoro, veste i panni del poliziotto che, per primo, indagò sulle vicende ormai note come quelle relative alla "terra dei fuochi". Svolgendo il suo lavoro l'ispettore approda ai traffici delle ecomafie a metà degli anni '90, anni nei quali viene istituito il commissariato emergenza rifiuti in Campania, e già dal fatto che venne poi rinominato dell'emergenza idrogeologica in Campania nel 2000, sembra potersi vedere istituzionalizzata la consapevolezza che qualcuno scavasse le cave fino alla falda acquifera e riempisse il tutto di rifiuti.

Eppure siamo qui a parlarne come di un passato pur recente ma già divenuto fiction, ora che la terra dei fuochi è un presente che chiede ancora risposte e soluzioni giacché quello scempio che si è fatto del territorio produce ancora morti. Morti da bambini o compromessi da malattie attualmente incurabili gli individui che vivono quel territorio e che vi sembrano legati indissolubilmente, che segnano la sorte di un territorio dal quale bisognerebbe a tutti i costi allontanarsi. <<Per andare dove? Questa è la nostra casa, la nostra terra>> risponde nella fiction la madre della giovane vittima Vincenzino. Vincenzino, nella fiction, anticipa la sorte che toccherà a Roberto Mancini scomparso il 30 aprile 2014 dopo aver combattuto contro un linfoma non Hodgkin, un tumore contratto a causa dei suoi sopralluoghi sulla terra dei fuochi.

Il libro si annuncia come la pubblicazione della copiosa informativa Mancini degli anni '90, ma si spende nella celebrazione biografica dell'uomo, per un terzo nelle vicende di un giovane liceale di sinistra negli anni della contestazione, accodando come "informativa" la sola rilettura di alcune intercettazioni prodotta nel 2013 al sostituto procuratore Milita presso la Procura della Repubblica di Napoli.

***

La vicenda giudiziaria relativa a quel fenomeno criminale ed all'informativa di Mancini degli anni '90 desta stupore, uno stupore già vissuto per una storia recente del nostro paese portata sullo schermo dalla RAI e da Beppe Fiorello, quella relativa al caso Barillà. Se lì la vicenda giudiziaria ebbe risvolti inverosimili per la verità che emergeva dagli atti processuali, qui non ci si imbatte in una vicenda giudiziaria vera e propria, si scopre quasi con stupore che processi pur ce ne sono stati ma mai individuando la vicenda nella sua unitarietà come suggerisce oggi la concentrazione territoriale e la definizione del fenomeno. Vicende giudiziarie concluse senza clamore, altre ancora in corso, dalle quali si desume che a quel lavoro di Roberto Mancini qualche riscontro già si era offerto pur essendo rimasto inspiegabilmente ignorato nei cassetti degli uffici giudiziari per sedici lunghissimi anni.

<<Un punto emerge subito con forza (ivi pag.48): non sarebbe esistita una sconcia e immonda storia criminale e cammorristica senza l'appoggio della borghesia affaristica, [...] mancano i nomi dei principali responsabili, dei complici, dei politici, degli infedeli servitori dello Stato, dei professionisti e degli imprenditori>>.

Sembra quindi che il fatto che oggi sconvolge di questo fenomeno criminale troppo a lungo ignorato è che esso sia stato considerato al pari di un qualsiasi affare losco per il concorso di apparati dello Stato o per il voluto disinteressamento di questi e di un intero sistema impegnato a svolgere affari legali, prima che diventasse un fenomeno "sociale" che si è finalmente imposto alla pubblica opinione solo ai nostri giorni ed attende una risposta adeguata.

L'informativa presentata dalla squadra che dirigeva Roberto Mancini negli anni '90 fu considerata non meritevole di un procedimento giudiziario. <<Voglio pensare che forse i tempi non erano maturi>> commenterà Mancini (Ivi pag.51), e noi cosa dobbiamo pensare: che non era ancora entrato nella coscienza collettiva il Decreto Ronchi del '92 che classificava ogni manufatto non naturale come rifiuto nella sua specifica tipologia, mentre ancora si pensava ai "rifiuti" come quelli che in quel decreto erano i soli "residui di mensa", spazzatura, monnezza e non ai "rifiuti" pericolosi classificati in tossici e nocivi che erano scarti dei procedimenti di lavorazione industriale o fanghi tossici che finivano ad essere concime in un territorio dello Stato? Oppure oltre alla borghesia affaristica di cui dicevamo c'era anche una ben precisa regia occulta, che prevedeva il disinteresse dello Stato, il coinvolgimento della Massoneria di Licio Gelli cui fa riferimento anche il pentito Carmine Schiavone, citato nel testo? <<La portata delle indagini e degli accertamenti tecnici da fare avrebbe comportato sia un impegno notevole di denaro, sia il rischio che si creasse una sorta di panico nella popolazione>>, affermava ancora Mancini (Ivi pag.51): nulla a confronto delle bonifiche che si renderebbero oggi necessarie, nulla a confronto del panico nel quale vive quella popolazione abbandonata all'avvelenamento. Eppure oggi, a distanza di tanto tempo, quel lavoro trova il suo riscontro nella realtà ed assume i connotati di un primo passo possibile che nessuno ha voluto compiere.

Il libro celebra Roberto Mancini e gli autori lo raccontano sin dall'attivismo dei tempi del liceo. C'è dovizia di particolari, sembrano esserci tutti i nomi e c'è una cronaca chiara e scorrevole degli avvenimenti. Ne emerge il carattere, il tratto umano di chi ha soltanto fatto il suo dovere, senza fare carriera. Le sue stesse tristi considerazioni sul fare carriera (Ivi pag.30) possono applicarsi però a qualunque carriera in un organismo: accettare compromessi, ricercare consenso, semmai conquistarsi i superiori con fare servile, non crediamo valga solo in polizia. Allo stesso modo emerge l'uomo nella parte finale del testo e nel racconto amorevole della moglie Monica. La vicenda relativa alla sua indagine più importante resta il cuore, il fulcro del libro, ma sembra la cronaca quasi scontata di ciò che avveniva nel trattare loschi affari dei quali non era stata compresa la portata; dalla sua informativa del 2013, in fondo al testo, si desume che tutto quanto a suo tempo intuiva accadere sotto il suo orecchio di intercettatore rimase privo di una conseguente azione: si ascoltava, si intuiva, si desumeva e ricostruiva, e nessuno ritenne opportuno "andare a vedere", intervenire!

Il processo a Cipriano Chianese, avvocato di Santa Maria Capua Vetere, imprenditore, deus ex machina dell'affaire rifiuti, informatore dello Stato sui crimini in materia ambientale e mancato consulente governativo per la risoluzione dei problemi relativi allo smaltimento dei rifiuti è tuttora in corso. Ne sono capi di accussa: associazione a delinquere, avvelenamento delle acque e disastro ambientale.

Onore a Roberto Mancini, un onore meritato anche secondo le alte cariche dello Stato, ma un riconoscimento postumo, purtroppo, perfino vano, finché non si offriranno risposte alla terra dei fuochi.



Giulio della Valle

lunedì 11 aprile 2016

Il nome di Dio è Misericordia - Una conversazione con Andrea Tornelli - Ed. Piemme

Il nome di Dio è Misericordia

 Una conversazione con Andrea Tornielli

 Ed. Piemme




"Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe"


L'intervento di Roberto Benigni alla presentazione del libro di Papa Bergoglio non mi ha entusiasmato.

Sia pure per aspetti diversi, suscitano entrambi delle perplessità! Il libro in cui il Papa affronta il tema dell'Anno Santo indetto dalla Chiesa cattolica romana sarebbe potuto rimanere nella libreria come un soprammobile, ma merita una lettura, ancor più che per la sua attualità, per quel sano principio secondo il quale occorre approfondire ciò che poi si vuole apertamente criticare. Pertanto, l'ho letto la sera stessa in cui lo avevo acquistato, trovandolo semplice ed alla portata di tutti; gradevole, volutamente informale ed universale.

"Dio perdona, io no!", "Non fatevi giustizia da voi stessi, ma lasciate fare all'ira divina", "Porgi l'altra guancia", "Ama il prossimo tuo come te stesso", "Ama il tuo nemico", sono motti che racchiudono probabilmente tutti i modi di intendere la misericordia. Chi si riconosce in uno di questi, e quindi, forse, davvero chiunque, può trovare interessante la lettura di questa conversazione con Papa Francesco, per alcuni professore di una fede semplicistica pret a porter, che invita a perdonare con una carezza. Lo stile è molto scorrevole e godibile, le domande sembrano esserci tutte; ci si può soffermare sul Papa-pensiero, per quanto lo si voglia criticare, e desumere dalla scelta stessa del tema dell'Anno Santo e del modo universale di affrontarlo, che, agli occhi del Pontefice, il male attuale dell'umanità è quello di perire sotto il peso dei propri errori, di spegnersi al confronto dei propri affanni e così sminuire le potenzialità di cui ciascun individuo, in quanto figlio di Dio, è dotato.

Il desiderio di includere tutti può presentare come troppo permissiva la dottrina di Papa Bergoglio, ma ciò sembra rendersi necessario sia per indicare che la vita è un percorso fatto di cadute dopo le quali rialzarsi, sia per sostenere chi, vivendosi come "indegno", rinuncia a perseverare e si perde, quanto meno, nell'indifferenza. A questi soprattutto sembra rivolto il messaggio nel testo: ribadire la certezza assoluta della misericordia di Dio.

Il testo fa riferimento a passi molto noti delle scritture: la lapidazione dell'adultera, la parabola del figliol prodigo e quella del fariseo e del pubblicano, il tradimento di Pietro, il perdono perpetuo delle settantasette volte sette.
A proposito di questi passi desidero osservare brevemente, anche in questa occasione, che, in un'ottica squisitamente giuridica, che pur riveste il suo interesse, la domanda sul destino da riservare all'adultera, rivolta a Gesù, non è necessariamente un inganno ma il dilemma di uomini pii, rispettosi della legge sancita al tempo, per garantire l'ordine sociale, rispetto alla quale non conoscono altra possibile soluzione alternativa.
Quella norma rispetto alla quale Gesù si presenta come elemento di rottura, "va oltre", riconosce il peccato ma rifiuta che venga applicata la pena, venendo giustamente percepito come un rivoluzionario, colui che predica contra legem: <<La misericordia [...] non cancella i peccati, [...] è il modo in cui Dio perdona>>. <<La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità, [...] ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio>> (Ivi, pag.66) Lo stesso può dirsi per l'ordine di isolare il lebbroso, in merito alle esigenze di ordine pubblico, onde evitare il contagio, cui contravviene Gesù e, sul suo esempio, molto tempo dopo, S. Francesco.

Un atteggiamento rispetto al quale Papa Francesco offre il suo pensiero, pensando, in modo simbolico ad una malattia interiore: <<Bisogna entrare nel buio, nella notte che attraversano tanti nostri fratelli. [...] far sentire la nostra vicinanza senza lasciarsi coinvolgere e condizionare da quel buio, [...] cercare di raggiungere tutti testimoniando la misericordia [...] evitando l'atteggiamento di chi giudica e condanna>>. <<Quando qualcuno comincia a scoprirsi ammalato nell'anima [...] deve essere accolto, non respinto o tenuto ai margini>>. <<Deve trovare accoglienza [...] qualcuno che sta sulla soglia>> cui Papa Francesco sembra dedicare molta attenzione.

Ciò, però, risponde ad altre tipologie di malattia, presuppone una grande fede, un'incrollabile "tenuta" ai propri valori, e va considerato che ciò spesso non appartiene all'uomo comune che, come dire, "... praticando lo zoppo, impara a zoppicare". E' comprensibile quindi che l'uomo eriga dei confini oltre i quali è cosciente che potrebbe corrompersi. Tornando in modo eminentemente pratico al lebbroso, ormai sdoganato dalla convinzione antica che la malattia fosse la pena per i peccati commessi, l'ottica spirituale di Bergoglio, ribadita come logica da contrapporre alla logica dei dottori della legge, non soddisfa l'esigenza che sovviene di tutelare la città dal contagio, in materia di ordine pubblico, un'esigenza eminentemente pratica di chi doveva garantire la pubblica incolumità in tema di salute, sulla quale si può sorvolare soltanto perché oggi non si pone un problema in termini analoghi al passato.

Ci piace ricordare, infatti, che quando si parla di legge, si parla anche di potere costituito e di esigenze di ordine pubblico: chi ha studiato "il processo contro Gesù" di Amarelli F. (Curatore), Lucrezi F. (Ed. Iovene), sa bene infatti che gli ebrei del sinedrio non potevano condannare Gesù alla pena di morte e doverono sollecitare l'intervento di Roma, potere costituito, ad intervenire per esigenze di ordine pubblico, onde tramutare un reato religioso in un crimine penalmente perseguibile.

Oggi che la confessione si chiama "riconciliazione", la cresima "confermazione" ed il sepolcro "altare della reposizione" è il caso di considerare che la parabola del figliol prodigo viene chiamata "parobola del padre misericordioso", giacché il figliolo si era soltanto cercato, col suo ritorno, una condizione più vantaggiosa di quella nella quale si era venuto a trovare, peggiore finanche di quella dei servi di suo padre. Nulla si dice sul pentimento del figliol prodigo, perché il padre lo accoglie, lo abbraccia e lo perdona ancor prima che possa proferire parola, osserva Papa Francesco. Se il pentimento è il presupposto della confessione e la confessione è funzionale all'assoluzione, sembra essersi evoluta anche questa visione, nella quale si mette in evidenza la misericordia del padre, offerta come dono. In tema di confessione, ricordo che lo stesso Cardinale Carlo Maria Martini, rivendicava la confessione come risorsa, dono, per l'umanità intera e quindi prima di vederla in funzione dell'assoluzione, la presentava come preziosa opportunità di condivisione: essere ascoltati, con la certezza del vincolo del segreto, ed essere confortati da una persona che assume la funzione così alta di agire in persona Christi è una risorsa per tutta l'umanità.

Mi sembrano seguire questo solco le parole di Papa Bergoglio quando invita i confessori a benedire anche ove non possano assolvere, riconoscere un ruolo primario all'ascolto, a quello che chiama l'apostolato    dell'orecchio:   <<  Le persone  cercano soprattutto qualcuno che le ascolti. Qualcuno disposto a donare il proprio tempo per ascoltare i loro drammi e le loro difficoltà. E' quello che io chiamo "l'apostolato dell'orecchio", ed è importante. Ai confessori mi sento di dire [...] sono cercati da Dio, bisognosi di benedizione. Abbiate tenerezza con queste persone. Non allontanatele. La gente soffre.>>. (Ivi pag. 32)

La gente soffre e sembra avere sempre più bisogno di perdono. Sempre più numerose le indulgenze o quanto meno più conosciute, rispetto ad una tradizione nella quale la Chiesa urlava:<<Pentitevi!>>. Legate a eventi eccezionali come l'anno santo, indetto peraltro sempre più frequentemente, sembra si siano moltiplicate: siano esse legate ad un pellegrinaggio ed alla recita di alcune preghiere, sia soltanto al passaggio attraverso una porta santa come la porta della casa di Maria presso il santuario di Loreto. Di certo appare che il nostro tempo, forse proprio perché è parco di tonificante severità, sia scivolato in una soddisfazione che diviene insoddisfacenza soporifera in cui, in fondo, non ci sente in grado di lottare per le grandi aspirazioni, mancano i grandi ideali e gli errori pesano come macigni stagnanti. Da qui l'universale bisogno di misericordia, di un costante rinnovamento dell'individuo che ne preservi le potenzialità alla quale la Chiesa sembra voler rispondere con questo Anno Santo. E' evidente quindi che al tema della Misericordia siano correlati quelli del perdono, del pentimento, del ricorso al sacramento della confessione.

Mi sono abbandonato a queste personali considerazioni, ripercorrendo quanto questa lettura mi ha suscitato, senza nulla voler togliere al tema della misericordia, a quel perdono che secondo il Catechismo della Chiesa si concede a chi si accusa, pentito, dei propri peccati, vivendo, ci dice Bergoglio, una vergogna dalla quale Dio innalza, ma che sembra necessario concedere anche a chi si spiace di non provare pentimento, tanto è necessario fare della Chiesa <<un ospedale da campo in cui si curano innanzitutto le ferite più gravi>> (Ivi pag. 24). Bergoglio quindi va oltre certa dottrina: anche cogliere il rammarico di un mancato pentimento è un passo, finanche quel rammarico può essere il desiderio di muovere un piccolo passo verso Dio, un punto di partenza per soccorrere un individuo che soffre, per innestare un sostegno costante alla sofferenza, <<il piccolo spiraglio che permette al prete misericordioso di dare l'assoluzione>> chiosa nell'introduzione Tornelli. Questo mette a tacere chi vede ancora oggi la Chiesa legata all'inquisizione o all'uso del cilicio, e presenta una Chiesa che accoglie l'individuo che soffre, che sana le sofferenze.

La Misericordia cura un'umanità ferita, che porta ferite profonde perché ritiene di soffrire di un peccato che è un male incurabile ed <<oggi si cerca salvezza dove si può>> (Ivi pag. 31), chi non crede in Dio finisce col credere a tutto, ma anche chi si vergogna di sé, giacché soffre, si ritrae nell'indifferenza, persone che <<si allontanano e magari non tornano più>> (Ivi pag. 32). La confessione, in Papa Francesco, è un incontro con l'accoglienza ed il perdono, impossibile davanti ad uno specchio. Lo stesso catechismo della Chiesa Cattolica riconosce pregio alla confessione anche da un punto di vista semplicemente umano, giacché libera e facilita la riconciliazione con gli altri ... e facilita un nuovo avvenire [1455]. Papa Bergoglio cita come grande lezione l'esempio di Sant'Ignazio, allora combattente, che ricorse alla confessione presso un commilitone laico temendo di essere prossimo alla morte. Offre delle indicazioni per la confessione sia ai consacrati sia ai fedeli: non sia una sala di tortura, ma non ci si rechi come in tintoria, (viene in mente l'Atto di dolore che al pentimento per le proprie mancanze aggiunge un proposito per il futuro), non recitare un formulario come se non si fosse peccato, perché non riconoscere il peccato significa non rendersi consapevoli di avere una ferita da guarire.

Il peccato è una ferita da medicare, quindi, prenderne coscienza, anche a costo di ricadere nello stesso peccato e soffrirne: rialzarsi sempre, non rimanere a terra a leccarsi le ferite. Così in questo dialogo aperto a tutti che invita ad accettare le proprie debolezze, ad accettare che le cadute sono insiste nell'uomo, che invita sempre e comunque a perseverare e rialzarsi, si percepisce che il sacramento della confessione è uno strumento privilegiato di accesso alla misericordia divina, ma al contempo la migliore opportunità per rialzarsi, come la costante di un percorso, dello svolgersi della vita.

A chi vi accede e ciò nonostante non si sente "innalzato" sembra rivolgersi il Papa quando invita ad accogliere la misericordia come dono immenso che agli occhi umani può apparire perfino <<ingiusto>> (Ivi pag. 50).

E con tutte queste considerazioni sembra comprendersi davvero tutti: da chi si confida soltanto con un amico a chi dall'assoluzione non si sente riconciliato. La misericordia coglie chi è disposto ad essere stupito, ci dice, avvertendo il proprio bisogno, il vuoto, la propria miseria, per non "incorrere" nella superbia. Il vero male, nel sociale, dunque non è il peccato, ma la corruzione intesa come uno stato di autoreferenzialità dove ci si stanca di chiedere il perdono e si finisce per credere di non doverlo più chiedere e non ci si mette più in discussione.

All'uomo comune resta il compito della compassione: patire con l'altro, lasciarsi coinvolgere! <<Aprirsi alla misericordia di Dio, aprire se stesso e il proprio cuore [...] e cercare di essere misericordioso con gli altri>> (Ivi pag. 107).

Certo, il vero cristiano condivide, vive di gioia, non vede la Passione ma la Resurrezione, ringrazia del dono della vita ogni giorno, eppure tanti fatti del nostro tempo ci dicono che l'uomo si spegne o perisce quando si sente senza scampo o senza alternativa.

Proprio giorni fa a chi diceva che nel mondo domina soltanto l'assoluta indifferenza un Gesuita rispondeva: <<Siamo pieni di sensi di colpa>>. In questo contesto sembra inserirsi il messaggio di Papa Francesco nell'Anno Santo della Misericordia, la Misericordia che può alleviare gli afflitti, riscattare i derelitti, riavviare i cuori.

Una lettura piacevole su una "porta sempre aperta" per un Cattolico cristiano sbagliato, mal praticante, come il sottoscritto.

<<Il Signore è fedele perché non può rinnegare se stesso>> (Ivi, pag. 25)

<<il peccato ferisce l'umanità [intera] (Ivi, pag. 38). [...] La vergogna per il proprio peccato è una grazia, riconoscersi peccatori è una grazia (Ivi, pag. 48) : [...] Dio ti rimane fedele e ti innalza (Ivi, pag. 26). [...]Più ci riconosciamo bisognosi, più ci vergogniamo e ci umiliamo, più presto veniamo inondati dal suo abbraccio di grazia (Ivi, pag. 97)>>


Giulio della Valle

lunedì 4 aprile 2016

Non è Francesco


Non è Francesco

 Antonio Socci

 Ed. Mondadori




Leggiamo il libro dopo il tanto clamore che ha fatto seguito all’inchiesta di Socci e forse per questo motivo non siamo troppo affascinati dall’aspetto messo in evidenza nel titolo: Bergolio non sarebbe Papa perché non è stato validamente eletto. Jorge Mario Bergoglio è stato eletto alla sesta votazione, quinta votazione del 13 marzo 2013, mentre la Universi Dominici Gregis prescrive che vengano svolte, ogni giorno, al massimo quattro votazioni, altrimenti come <<L’autorevole cardinale Siri, assai esperto di Conclavi, anni fa spiegò sarcasticamente […] talvolta i prelati arrivano alla sera così stressati dal caldo che se si fosse posta una sedia al centro della Cappella Sistina sarebbe stata eletta Papa anch’essa, pur di mettere fine alla defatigante situazione>>.

In quella occasione si è proceduto ad una quinta votazione nello stesso giorno perché la quarta era stata annullata e quindi tam quam non esset, andava ripetuta. Non è di questo avviso l’autore giacché nella Universi Dominici Gregis vero è che l’art. 68 prevede che qualora al conteggio delle schede il numero delle schede non corrisponde al numero dei votanti la stessa venga annullata, ma l’art. 69 prevede che quando si riscontrano due schede piegate insieme, se esse siano costituite da due voti diversi vengano annullate, se esse siano costituite da un doppio voto se ne conteggi uno soltanto, come nel caso in cui ci sia una scheda votata ed una bianca. Quest’ultimo caso sembra essersi verificato, secondo quanto riferito dalla giornalista argentina Elisabetta Piquè (che ne aveva già parlato un anno prima), molto vicina a Bergoglio sebbene, si rileva, d’altra parte, che è vietato a pena di scomunica rivelare come si sia svolto il Concilio. Ne deriva comunque che, secondo l’autore, per procedere interpretando gli articoli in modo coerente e non contraddittorio tra loro si sarebbe dovuto applicare l’art. 69, pensato per evitare che un singolo cardinale potesse invalidare la votazione e non annullarla, né, tanto meno, ripeterla in aggiunta al limite delle quattro previste per ogni singola giornata. L’elezione quindi, non essendo conforme alla procedura, sarebbe non valida ex art. 76 della Universi Dominici Grecis.

Sul punto Socci ha già ricevuto risposta da eminenti canonisti che lo invitano a non vestirsi da giurista facendogli notare l’esistenza di tre condizioni:
1) la mancanza di conferma di quanto sostenuto dalla Piqué, e la mancanza di contestazioni da parte dei cardinali, che però, come detto, sono obbligati graviter onerata ipsorum conscientia a mantenere il massimo riserbo su quanto avviene durante il conclave a pena di scomunica;
2) l’esistenza dell’art. 66 della Universi Dominici Grecis che prevede le tre fasi della votazione: deposito del voto nell’urna, conteggio delle schede, spoglio delle schede, tanto che l’art. 68 e l’art. 69 possono regolare la seconda e la terza fase delle operazioni senza che la norma cada in contraddizione;
3) infine che se l’art. 63 prescrive un massimo di quattro votazioni al giorno, l’art. 68 prevede che si riscontra una scheda in più si brucino le schede senza procedere allo scrutinio e si proceda <<subito>> ad una nuova votazione, e quel <<subito>> è stato interpretato letteralmente (sebbene alcuni abbiano rilevato che nella formulazione in lingua latina sia scritto quanto si sarebbe dovuto tradurre con <<un’altra volta>> e quindi ciò comportando diverse conseguenze).

Dunque se per Socci Bergoglio non è Francesco, questo non vuol dire che la sede del Magistero Petrino sia vacante. A suo parere il Papa è uno ed è tuttora Joseph Ratzinger.

Si è molto discusso di questa tesi sostenuta da Socci, che ha spaccato in distinte schiere di oppositori e seguaci e forse proprio perché il dibattito sembra essere stato sviscerato in ogni aspetto della questione, la vicenda sembra aver ceduto all’interesse per come Bergoglio stia svolgendo il proprio mandato.

In verità tutto il problema sembra porsi a fortiori, viste anche le innocue conseguenze delle dichiarazioni della Piqué e l’acclamazione di Papa Bergoglio che sarebbe un sanante <<vox populi vox dei>>, allorquando si è osservato l’operato di Papa Bergoglio e la sua dottrina. A dispetto della presunta acclamazione di tutti i cattolici cristiani, la “reggenza” di Bergoglio ha invece prodotto e produce una frattura nel popolo della Chiesa, che mantiene viva la discussione sulla legittimità della sua elezione e sulla particolare forma delle “dimissioni” di Ratzingher. Tra i “Bergogliani” si riscontra, paradossalmente, la presenza dei più ubbidienti ai dettami della Chiesa e del suo reggente insieme ai più “lontani“ (non solo quelli più modernisti all’interno della Chiesa, ma anche quelli che la Chiesa non l’hanno mai apprezzata) che si riconoscono nella strada intrapresa con Papa Francesco I; quelli che sono rimasti e restano sgomenti dal suo operato, e che si sentono abbandonati come se non avessero mai capito nulla, che si dividono tra coloro che affermano che è Papa tuttora Joseph Ratzinger ed i sedevacantisti che attendono ancora il successore di Pietro.

Sembra non essere animato da pari dibattito e priva dalla dovuta attenzione la realtà unica nella storia della Chiesa dell’esistenza di due Papi, che, a differenza di quanto è avvenuto in passato, non si dichiarano essere l’unico vero successore di Pietro, l’uno alternativo all’altro, ma si riconoscono reciprocamente un ruolo legittimo all’interno del recinto petrino e, quindi, potremmo dire, nella “conduzione” della vita della Chiesa.

Questo sembra il punto più interessante di quanto tuttora vediamo sotto i nostri occhi, piuttosto dell’analisi del diritto positivo sancito dalla Universi Dominici Gregis. Se, infatti, rispolveriamo gli studi universitari di Giurisprudenza, troviamo, a fianco al principio del diritto positivo (“la legge va rispettata” che per questa via assolverebbe tutti gli esecutori del potere nazista (V. anche “La banalità del male" di H. Arendt)), il principio di costituzione materiale, ovvero di quelle norme che si possono desumere concretamente applicate nella realtà, al di là della lettera della norma. Per questa via potremmo interrogarci sul fatto che la Chiesa, come istituzione, si sia data due Papi e, non essendovi precedenti, discutere di questo aspetto della questione.

Ci sembra maggiormente interessante, in effetti, l’analisi che Socci compie della modalità in cui Papa Benedetto XVI, tuttora Papa, Papa Emerito Joseph Ratzinger avrebbe abdicato e le specifiche anomalie. Ratzinger, nel suo ultimo discorso, allorché convoca il Conclave afferma che ≪Il “sempre” è anche un “per sempre”- non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo>>. Riferisce rinunciare all’<<esercizio attivo del magistero petrino>> per motivi di salute. Ai motivi di salute, effettivamente, dopo l’esempio di Karol Woytila Papa Giovanni Paolo II, non crede nessuno, nemmeno considerando quella salute dello spirito e non del corpo che impedirebbe a Papa Benedetto XVI di governare la Chiesa in un momento per essa così difficile, risultante Ratzingher così presente nello spirito. E’ rilevante, però, la novità secondo la quale Benedetto XVI piuttosto che abdicare, conservi per se stesso, anzi, istituisca, la carica di Papa Emerito, in tal modo conservando il proprio stemma, stemma sul quale sono apposte le chiavi di Pietro e ritirandosi in preghiera.

<<Sappiamo che nei pochi precedenti storici tutti i Papi ritiratisi sono tornati al loro status precedente: di cardinale o religioso. Il famoso Celestino V, eletto nel 1294, dopo cinque mesi abdico e tornò a essere l’eremita Pietro da Morrone. E il Papa legittimo Gregorio XII che, per ricomporre il grande scisma d’Occidente, si ritirò dall’ufficio papale il 4 luglio 1415, fu reintegrato nel Sacro Collegio col titolo di cardinale Angelo Correr, andando a fare il legato pontificio nelle Marche>>.

Pertanto seppure Bergoglio fosse Papa, l’anomalia dell’esistenza di due papi nel recinto petrino è un caso unico nella storia bimillenaria della Chiesa. E su questo sembra ci sia ben poco da contestare a Socci. Tale anomalia induce quindi ad interrogarsi sulle ragioni della scelta di Ratzinger.

Dal libro emerge, nemmeno velatamente, che Papa Benedetto XVI avrebbe dovuto cedere alla pressione dei modernisti che minacciavano o erano addirittura pronti ad attuare uno scisma. In questo caso sorprende però la resistenza passiva che Ratzinger ha attuato: mentre cede l’<<esercizio attivo del ministero>> petrino, conserva il suo ruolo e quindi con essa la dottrina conservatrice della Chiesa della quale è stato eminente esponente sin dai tempi del Papato di Giovanni Paolo II.

Quale  sarebbe  quindi   l'interpretazione  di  questa manovra politica?

Se la Chiesa ha subìto un colpo di Stato, un colpo al cuore, alla dottrina, Benedetto XVI non ha ceduto lo scettro della dottrina ma lo ha portato con sé in clausura perché rappresentante di una minoranza o per evitare, difendendo la Chiesa, che i modernisti dessero luogo ad uno scisma.

Solo così ci si può spiegare la conservazione della carica di Papa da parte di Ratzingher e l’aver conservato il proprio stemma papale al quale è stato affiancato quello di Papa Francesco I.

Cosa significa poi cedere l’esercizio attivo del mandato Petrino e conservare il proprio ruolo? Finora non si è mai distinto un esercizio attivo ed un esercizio passivo, il Papa è monarca assoluto della Chiesa: Capo della dottrina, rappresentante nel mondo della dottrina ecclesiastica, guida politica. Ratzingher sembra aver conservato il ruolo di Capo della dottrina per sé stesso, come un Capitano della nave che, ammutinato dal suo equipaggio, immaginiamo dire: <<La nave non può dividersi. Fatevi dare gli ordini da chi volete purché restiate uniti, ma io resto riferimento di quella che dovrebbe essere la giusta conduzione di questa nave: quindi la saggezza si ritira con me nella mia cabina e lascio esposta la mia bandiera sul ponte, qualsiasi altra sopraggiunga dopo di me non la sostituirà ma vi verrà affiancata>>.

Se questa modalità così anomala di indire il conclave deve avere questa interpretazione, la cessione dell’esercizio attivo non è stata cessione della propria autorità e quindi è giusto che una parte di credenti che ritengono conforme alla tradizione la dottrina di Ratzinger, restino legati a lui e neghino che si possa aver avuta una successione.

Il libro prosegue poi valutando le visioni che furono di Anna Caterina Emmerich, una monaca agostiniana tedesca nata nel 1774 e morta nel 1824, sull’esistenza dei due Papi che preannunciano la fine dei tempi e sulle sollecitazioni dei messaggi di Medjugorje secondo i quali il momento attuale è molto duro da affrontare, ma alla fine si riuscirà a vincere Satana. Socci chiosa ricordando che ella, quando era ancora in vita e quindi prima che le venissero riconosciuti dei meriti pur si rivolse ai Papi denunciandone la loro inadeguatezza, volendo evidentemente citare l’esempio come precedente della sua accorata denuncia. Con questo libro, però, la discussione prosegue ed è del tutto attuale, nel senso che, condividendo o meno l’operato di Bergoglio, esponente dei modernisti e dei Gesuiti (che fanno come quarto voto quello dell’obbedienza al Papa!) della corrente innovativa di Card. Carlo Maria Martini, seppure la sua nuova modalità di gestire la Chiesa trovi tanto stupore in tutti, il consenso dei lontani ed il dissenso dei cristiani più tradizionalisti, diventa inutile condividere o meno tutte le critiche di Socci a Bergoglio. Il punto sembra essere un altro: <<Come si può negare che nello svolgimento attivo del mandato petrino di Francesco I, la Chiesa stia cambiando volto?>> Se la dottrina tradizionale bimillenaria della Chiesa, e quindi giustamente l’unica possibile e concepibile secondo i più tradizionalisti, è conservata da Papa Ratzinger, come si può negare che la più delle moderniste correnti che già ai tempi del Concilio Vaticano II furono da Papa Paolo VI, così come interpretato da Socci, intese come un pericolo, stia conducendo la Chiesa? Che ne sarà dell’attuale innovazione seppur la tradizione della dottrina dovesse un giorno ritornare in auge e riportare la Chiesa sulla sua strada?

E’ evidente che più la politica di Bergoglio piace ad atei e gnostici, salotti e mass-media, meno piace ai cristiani che hanno sempre inteso il loro compito come qualcosa di più e di più complicato che l’essere accomodante e piacione con tutto e con tutti. Una dottrina senza i paletti dei valori innegoziabili non è più una dottrina ed è la scelta di una strategia politica, anche di successo, a quanto pare. Eppure la fede dovrebbe essere altro, appunto salda nella sua tradizione. Fino a che punto si può condividere che la Chiesa muti per adeguarsi ai tempi? Il dibattito è tuttora aperto!

Alcuni cristiani vedono rinnegati (la propria dottrina e quindi) se stessi da un Papa che li abbandona per andare ad abbracciare il mondo. <<E’ questo il compiuto del Papa?>> sembrano chiedersi.

Il Papa difende certi valori e chi li condivide, e attacca chi persegue altri valori o altre scelte di vita: cristiani risposati, transgender, omosessuali, pedofili, altri frutti del più moderno concetto di libertà dell’uomo pur non essendo patologie, sono scelte di vita non condivisibili alla luce della tradizione della Chiesa ed il Papa è l’espressione più alta della Chiesa; la Chiesa è la sua dottrina, è espressione della sua tradizione o Chiesa più non è. Perché la Chiesa non è governo dei tempi.

Eppure sembra che la Chiesa abbia ceduto a quel modernismo più sfrenato che l’ha snaturata ed ha prevalso al suo interno per cui oltre a chi segue Papa Bergoglio, c’è chi si riconosce ancora in Ratzingher, come difensore della dottrina della Chiesa (anche se è difficile negare quanto stia accadendo alla Chiesa istituzione) e chi ritiene che il Seggio di Pietro sia da ritenersi vacante.

Concludiamo con i rilievi di Socci secondo il quale il governo di Bergoglio ha confermato i suoi timori e con una massima del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica da cui sembra che, comunque la si pensi, qualcosa è cambiato!

Ma poi papa Bergoglio torna su quella pagina e aggrava il problema, infatti il 16 maggio 2013, ricevendo il comitato esecutivo di Caritas Internationalis, a proposito dei pani e dei pesci del Vangelo dice testualmente: ≪Non si moltiplicarono. No, non è la verità: semplicemente non finirono, come non finì la farina e l’olio della vedova. Non finirono. Quando uno dice “moltiplicare” può confondersi e credere che faccia una magia... No, semplicemente è la grandezza di Dio e dell’amore che ha messo nel nostro cuore, che – se vogliamo – quello che possediamo non termina≫.

Stando a queste parole chiunque ≪se vuole≫ può dunque sfamare cinquemila uomini (piu donne e bambini) con soli cinque pani e due pesci, come fece Gesù secondo la testimonianza di san Matteo. In attesa di vedere chi è capace di fare questo con la semplice volontà, dobbiamo prendere atto che il Papa qui sembra negare pubblicamente un miracolo di Gesù riferito dai Vangeli, uno dei miracoli piu importanti, significativi e clamorosi.

Non solo. Asserisce che quanti ritengono che Gesù abbia fatto davvero la ≪moltiplicazione dei pani e dei pesci≫, come la Chiesa afferma da duemila anni, hanno creduto che Gesù abbia fatto ≪una magia≫. I miracoli sarebbero da liquidare come ≪magie≫? Certo, la critica razionalista ai Vangeli da due secoli nega i miracoli presenti nei Vangeli perché nega l’esistenza del soprannaturale, e una certa esegesi ≪progressista≫ interpreta quelle pagine come simboli dei ≪miracoli≫ che può fare la solidarietà sociale. Ma nessun Papa ha mai fatto affermazioni che negano la realtà dei miracoli.
(Antonio Socci – Non è Francesco p.135)

<<Il 7 luglio 2014 la rivista argentina ≪Viva≫ ha pubblicato un’intervista a papa Bergoglio nella quale egli fornisce un decalogo per vivere felici e in pace.La cosa è stata rilanciata e amplificata come un distillato di saggezza epocale. Ma è difficile capire cosa ci sia da ammirare nella massima che Bergoglio ha posto come prima regola per la felicita: ≪Vivi e lascia vivere≫. E questa la ≪filosofia di vita≫ del Papa? E per questo che Gesù Cristo ha accettato di subire il supplizio della croce? Si resta perplessi>>.
(Antonio Socci – Non è Francesco p.136)

La scelta di papa Bergoglio di celebrare il Giovedi Santo in un istituto, dove ha voluto che per la lavanda dei piedi, fra coloro che rappresentavano gli apostoli, vi fosse anche una ragazza musulmana, ha stupito. Lucrecia Rego de Planas ha scritto che ≪è una violazione della legge liturgica>>.
(Antonio Socci – Non è Francesco p.137)

Che cosa significa l’affermazione: ≪Fuori della Chiesa non c’è salvezza≫? Essa significa che ogni salvezza viene da Cristo-Capo per mezzo della Chiesa, che è il suo Corpo. Pertanto non possono essere salvati quanti, conoscendo la Chiesa come fondata da Cristo e necessaria alla salvezza, non vi entrassero e non vi perseverassero. Nello stesso tempo, grazie a Cristo e alla sua Chiesa, possono conseguire la salvezza eterna quanti, senza loro colpa, ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, ma cercano sinceramente Dio e, sotto l’influsso della grazia, si sforzano di compiere la sua volontà conosciuta attraverso il dettame della coscienza.
(Catechismo della Chiesa cattolica, Compendio, n. 171 in (Antonio Socci – Non è Francesco p.101)



Giulio della Valle